Recensione: The Relapse Collection

Di Giuseppe Abazia - 15 Giugno 2008 - 0:00
The Relapse Collection
Band: Morgion
Etichetta:
Genere:
Anno: 2008
Nazione:
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85

E’ proprio vero che spesso sono i migliori quelli che se ne vanno. Sono bastati tre full-length ai Morgion per marchiare indelebilmente la storia del doom: tre perle ineguagliabili rimaste a testimonianza dell’unicità di un gruppo che ha abbandonato le scene troppo, troppo presto. Le ultime notizie sui Morgion risalgono all’ormai lontano 2004, quando, poco dopo l’uscita dell’album destinato a diventare il loro epitaffio (Cloaked By Ages, Crowned In Earth), il gruppo annunciò il proprio scioglimento; ora, nel 2008, è il momento di tornare a parlare di loro, purtroppo non per annunciarne la reunion, ma per presentare una raccolta che farà la felicità di coloro che non hanno mai avuto occasione di acquistare i primi due album della band, fuori stampa da molti anni. The Relapse Collection è una compilation su due dischi che comprende i primi due full-length, Among Majestic Ruin (1997) e Solinari (1999), il rarissimo EP Oceans Without Shores, delle versioni demo di canzoni contenute in Solinari, e una strumentale mai rilasciata prima.

Chi conosce i Morgion solo per Cloaked By Ages, Crowned In Earth, troverà qui una una line-up leggermente diversa: mentre sull’ultimo disco il growl e la voce pulita erano divisi rispettivamente fra i due chitarristi Dwayne Boardman e Gary Griffith (quest’ultimo entrato in formazione solo dopo Among Majestic Ruin, in sostituzione di Bobby Thomas), per tutte le uscite precedenti, dagli esordi fino a Solinari incluso, ad occuparsi di entrambi gli stili c’era Jeremy Peto (cantante eccellente di cui purtroppo si sono perse le tracce), che oltre al ruolo di vocalist ricopriva anche quello di bassista. Alla batteria, invece, sempre Rhett Davis, mentre la posizione di tastierista era inizialmente occupata da Ed Parker in Among Majestic Ruin, poi sostituito dallo stesso Griffith da Solinari in poi.
Il sound, inoltre, rispetto al mood rilassato e all’abbondanza di clean vocals dell’ultimo album, puntava maggiormente sulla pesantezza e sulla cupezza delle atmosfere; il growl faceva da padrone, e gli inserti di voce pulita erano solo sporadici; i tempi, seppur generalmente dilatati, non di rado si lasciavano andare ad accelerazioni figlie delle origini death metal del gruppo; le canzoni trasudavano un’aura solenne ed epica. Ma analizziamo con più precisione i contenuti di entrambi i dischi che compongono questa raccolta.

Disco 1: Solinari (& Oceans Without Shores)

Da molti (me incluso) considerato il miglior lavoro mai sfornato dai Morgion, Solinari rappresenta una delle vette più alte mai toccate dal doom; uno di quei dischi senza macchia alcuna, nel tempo assurto a vero paradigma del genere. Il gruppo, con questo album, dimostra di possedere capacità compositive eccezionali, forgiando canzoni lunghe ma estremamente varie, durante le quali si susseguono senza soluzione di continuità cambi di tempo, atmosfere di grandiosa maestosità, frangenti più malinconici, sezioni più violente. Il fluire di ognuno di questi elementi suona del tutto naturale e spontaneo, ogni tassello s’incastra perfettamente in un gioco di luci ed ombre nel quale non si sa mai cosa verrà dopo: in più di un’occasione, infatti, i Morgion sono capaci di sorprenderci con trovate inaspettate, ma sempre perfettamente azzeccate. Non di rado quelli che sembrano inarrestabili assalti di potenza mutano, senza colpo ferire, in meravigliosi passaggi di tastiere; inserti di chitarra acustica tessono melodie dal sapore esotico, magari associate a suadenti versi recitati in pulito; fill di batteria complessi e interessanti aggiungono ulteriore varietà al risultato finale. Come non restare incantati di fronte al lento, ma incalzante, dipanarsi di una traccia come The Serpentine Scrolls / Descent To Arawn, che quando sembra sia giunta all’apice della potenza, si spegne dolcemente fra i rivoli di un caldo temporale notturno, salvo poi tornare alla carica con un ultimo, devastante assalto? Come non lasciarsi trasportare dalle orientaleggianti melodie di Canticle, che come onde inarrestabili s’infrangono su scogliere di riff granitici ma al contempo ariosi? O ancora, come restare impassibili ascoltando i raggelanti ruggiti di Nightfall Infernal, o i suoi impetuosi crescendo di chitarra sapientemente inframezzati da epici passaggi di tastiere? Questa ristampa vede anche una novità nella tracklist, dato che le due tracce All The Glory… e …All The Loss sono state unite in un’unica, lunghissima suite; la transizione dall’una all’altra è perfetta, rendendo evidente la natura gemellare delle due canzoni.
Ho citato solo alcune delle perle contenute nell’album, ma ogni traccia contribuisce in egual misura a rendere Solinari il capolavoro che è. Ascoltarlo tutto d’un fiato è praticamente d’obbligo: solo così ci si può immergere al meglio nelle sue atmosfere crepuscolari e notturne. Inoltre l’album, così come Among Majestic Ruin, è stato rimasterizzato appositamente per questa raccolta; non che fosse strettamente necessario, data la già eccellente produzione che contraddistingueva l’originale del 1999, ma il suono è adesso leggermente più corposo. A beneficiare maggiormente della rimasterizzazione probabilmente è stato il basso: da sempre un elemento di assoluto spicco nel sound dei Morgion, coi suoi giri complessi in grado di fungere da vero e proprio traino delle canzoni, esso ha acquisito ora un timbro più caldo e pieno.
A complemento di Solinari, abbiamo tre tracce registrate intorno allo stesso periodo, che originariamente avrebbero dovuto comporre l’EP Oceans Without Shores, mai rilasciato ufficialmente. Due di esse sono completamente inedite: Mundane è un pezzo leggermente più aggressivo rispetto a quelli di Solinari, ma si integra perfettamente nelle sue atmosfere, e Symphonie Der Gravens è invece un breve intermezzo strumentale. La terza è una extended version di Canticle, che aggiunge una bellissima outro di chitarra arpeggiata.

Disco 2: Among Majestic Ruin (& Demo Tracks)

Mentre Solinari ci cullava con le sue atmosfere soffuse e tetre, Among Majestic Ruin è una mazzata sui denti non da poco. D’altra parte bisogna tenere presente che i Morgion nascono come gruppo death metal, ed è questo il retaggio su cui poggia il loro primo full-length. Among Majestic Ruin è death-doom nell’accezione più pura del termine: possiede sia la carica opprimente del doom, sia la violenza tipica del death. Rispetto a Solinari è un platter più chitarristico, che costruisce le proprie atmosfere maggiormente sulla potenza dei riff che non sulle melodie di tastiere (pur presenti in consistente quantità). L’album si compone di sole cinque canzoni, per una durata di poco più di mezz’ora, ma si tratta di trentacinque minuti di gran doom: sebbene ancora un po’ acerbo rispetto al masterpiece che gli sarebbe seguito due anni dopo, Among Majestic Ruin costituisce un vero e proprio manuale su come vanno composte delle buone canzoni di death-doom diretto e violento. A sezioni più cadenzate (solitamente sostenute da epici tappeti di tastiere), si alternano brutali sfuriate e galvanizzanti accelerazioni, come esemplificato perfettamente dall’opener Relic Of A Darkened Past (a parere del sottoscritto una delle più belle canzoni mai composte dai Morgion), dove il lento costruirsi iniziale sfocia progressivamente in un assalto frontale di quelli che lasciano il segno. In Ashen Tears (Thus I Cry) invece ha un incedere più tipicamente doom (sebbene non manchi anche qui qualche accelerazione), mentre Travesty, una strumentale, si configura come la traccia più epica del disco. Ancora melodie maestose in Basking Under A Blacksun Dawning, e a Invalid Prodigy il compito di chiudere il full-length con un ultima, violentissima bordata che verso metà canzone sfocia nel death metal puro.
Il materiale bonus del secondo disco è costituito da versioni demo di canzoni presenti su Solinari e Oceans Withouth Shores (Mundane, The Serpentine Scrolls / Descent To Arawn e All The Glory… All The Loss), più una strumentale precedentemente inedita (Phoenix Moons). La qualità delle registrazioni, pur essendo dei demo, è più che accettabile, ed è interessante notare alcune differenze rispetto alle versioni finali, come il maggiore impiego della voce pulita in The Serpentine Scrolls / Descent To Arawn.

Conclusioni

The Relapse Collection è un acquisto praticamente obbligato per chi non abbia mai avuto occasione di conoscere approfonditamente i Morgion: al prezzo di un solo cd, ci si porta a casa due pezzi di storia del doom, con in più del materiale bonus che non guasta mai (e che nel caso di Oceans Without Shores, si rivela estremamente prezioso). Difficile anche assegnare un voto alla raccolta: Solinari, per la sua importanza e il suo status di capolavoro, meriterebbe da solo un punteggio oltre il 90; Among Majestic Ruin, pur qualche gradino al di sotto, s’impone anch’esso come una maestosa opera doom da cui c’è solo da imparare. D’altra parte, però, siamo qui per giudicare la raccolta nel suo insieme, e bisogna ammettere che pur essendo un’ottima compilation, non è il cofanetto definitivo dei Morgion. Il problema è rappresentato, più che altro, dal materiale bonus del secondo disco: ascoltare delle versioni preliminari di canzoni già ben conosciute può essere senz’altro interessante, ma personalmente trovo che la raccolta ne avrebbe decisamente guadagnato se al loro posto ci fosse stato l’EP Travesty (antico reperto del 1993) e le ottime cover di Innocence And Wrath / The Usurper (Celtic Frost) e To Tame A Land (Iron Maiden), o magari il demo Rabid Decay. Ma il motivo della mancata inclusione di materiale del genere è probabilmente spiegato dal titolo stesso della raccolta: verosimilmente, lo scopo di questa compilation era di raccogliere solo ciò che fu edito dalla Relapse Records. Ciò non toglie, comunque, che The Relapse Collection sia una vera manna dal cielo: sia Solinari che Among Majestic Ruin erano fuori stampa da molto tempo, e una riedizione così curata – anche nel package, un bellissimo digipak – non può che rendere felici gli appassionati di doom.

E’ da segnalare, infine, che il 19 Aprile 2008, al Murderfest svoltosi in California, alcuni ex-membri dei Morgion si sono riuniti per un piccolo concerto commemorativo in onore dell’uscita della Relapse Collection. I motivi dello scioglimento del gruppo non sono mai stati resi noti con chiarezza, ma qualunque essi fossero, se c’è stata la possibilità di un ultimo concerto, allora forse non tutto è perduto. Morgion, tornate insieme: il doom ha bisogno di voi.

Giuseppe Abazia

Tracklist

Disco 1: Solinari
01 – The Serpentine Scrolls / Descent To Arawn (10:26)
02 – Canticle (06:42)
03 – Solinari (02:26)
04 – Nightfall Infernal (11:10)
05 – All The Glory… All The Loss (12:20)
06 – Blight (04:46)
07 – The Last Sunrise (04:52)
08 – Mundane (08:56) [bonus track]
09 – Symphonie Der Gravens (02:43) [bonus track]
10 – Canticle (Extended Version) (07:58) [bonus track]

Disco 2: Among Majestic Ruin
01 – Relic Of A Darkened Past (08:26)
02 – In Ashen Tears (Thus I Cry) (08:16)
03 – Travesty (05:09)
04 – Basking Under A Blacksun Dawning (05:41)
05 – Invalid Prodigy (06:49)
06 – Mundane (Demo) (07:29) [bonus track]
07 – The Serpentine Scrolls / Descent To Arawn (Demo) (09:36) [bonus track]
08 – Phoenix Moons (Instrumental Demo) (06:30) [bonus track]
09 – All The Glory… All The Loss (Demo) (12:49) [bonus track]

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