Recensione: The Thunderfist Chronicles

Un’altra avventura piratesca ci attende grazie alla ciurma di filibustieri più famosa del metal! La nave dell’inossidabile capitano Christopher Bowes è finalmente pronta a salpare per l’ennesima avventura fatta di divertimento, spensieratezza, demenzialità, ma soprattutto…. litri e litri di rum! The Thunderfist Chronicles giunge a tre anni di distanza dal precedente Seventh Rum Of A Seventh Rum e appena un anno di distanza dall’ottimo EP Voyage Of The Dead Marauder e a questo giro i nostri pirati preferiti della scena metal, dopo un parziale ritorno alle sonorità più power del precedente platter, tornano a esplorare lidi più variegati con le solite sonorità power/folk condite però da svariate incursioni nei lidi del metal moderno, con tanto di parti in growl e blast-beat, ed un super epico finale da oltre diciassette minuti di durata che si candida ad essere il brano più lungo della discografia della band di Perth.
The Thunderfist Chronicles ci cattura nella sua magia sin dalla bellissima copertina ad opera di Ady Shutterscream, raffigurante un veliero nel procinto di oltrepassare quello che sembra essere un loop temporale, per trovarsi in una città spettrale e semi distrutta, quasi come fosse un futuro distopico.
Ma è la musica la vera protagonista del viaggio, con un Elliot Vernon sempre più presente con le sue parti in scream, un Chris Bowes sempre sugli scudi e una serie di strumenti che donano una varietà importante al disco se pensiamo al violino, la tromba, le tastiere, i sintetizzatori, la ghironda…. e a proposito di quest’ultimo strumento, dopo il suo innesto nella touring line-up della band (che abbiamo visto esibirsi ad inizio anno come headliner del Paganfest all’Alcatraz di Milano), la giovane musicista Folk/Pop tedesca Patty Gurdy fa la sua comparsa anche in questo disco, offrendoci qualche linea vocale e arricchendo la componente folk della band con la sua immancabile ghironda.
L’album parte alla grandissima con Hyperion Omniriff che con le sue melodie folk e l’incipit cantato da Chris con la sua tipica enunciazione e la sua pronuncia fortemente scozzese, immediatamente ci fa sentire a casa. Questo pezzo ci allieta con una sequenza di DUE(!) ritornelli da cantare a squarciagola, con tutti cliché che fanno ormai parte del trademark Alestorm -“set sail for glory, we quest for gold under blood-red skies”, e ancora “are you a cunt or do you drink rum?”- Demenzialità a palate, ma oltre questo tanta qualità musicale con degli assoli meravigliosi da parte di Maté Bodor (alcuni con sfumature quasi neoclassiche), ritornelli catchy, parti in scream e melodie folk a più non posso!
Killed To Death By Piracy è sia granitica che alquanto asciutta nelle sue strofe (molto godibile l’intro di basso), per poi riprendere un’aurea più epica nel ritornello. Non manca qualche incursione nel metal moderno con quelle chitarre simil-djent e un “BLEAH” di Elliot manco fosse Sam Carter degli Architects, oltre il solito fiume di assoli di chitarra e tastiera. In generale comunque, un pezzo heavy metal più “tipico” specialmente se parliamo degli Alestorm.
Con Banana torniamo verso lidi più scanzonati, con ancora una volta delle piccole incursioni nel mondo del metal moderno con quelle vocals filtrate, chitarre d’impatto, un’elettronica minimale oltre ad un notevole uso dello scream. Il contrasto con le melodie folk risulta sicuramente particolare e rientra nel tipico sound di questa nuova era degli Alestorm, con sommo dispiacere dei nostalgici del power più “classico” di album quali Capitan Morgan’s Revenge o Black Sails At Midnight. Chris scandisce “tonight we’re gonna party like it’s 1699” e la festa ed il divertimento decollano!
Pronti per una doccia di “piscio gelata”? Frozen Piss è letteralmente questo, con una valanga di scream che ci travolgono, per quello che potrebbe essere davvero un futuro grande classico degli Alestorm. Il pezzo è tirato ma non mancano degli elementi irresistibilmente catchy, tra cui uno dei ritornelli meglio riusciti del disco! A tratti sembra quasi di ascoltare un pezzo degli Ensiferum ! Tra l’altro molto interessante lo stacco melodico folkeggiante con voce femminile cantato dalla vocalist Shiori Sasaki in giapponese.
The Storm è un brano più serioso che gioca su un mid-tempo epico. Peccato veramente per l’eccessiva somiglianza di questo brano nelle strofe con The Eagle Flies Alone degli Arch Enemy (ascoltatevi il riff portante, è veramente molto simile), ma per il resto è un brano che pur non brillando particolarmente, riesce a spezzare il mood demenziale dell’album con tematiche più avventurose ma allo stesso tempo seriose che dipingono scenari apocalittici (“fire paints the moonlight skies, all opposing me shall die, I am the storm!”). Ancora una volta da rimarcare i godibilissimi assoli di chitarra.
Mountains Of The Deep sembrerebbe narrare di una frizzante e avventurosa scampagnata montanara ma ben presto la demenzialità torna ad assalirci. Le montagne del profondo non sono nientemeno infatti che un’espressione per raffigurare il seno femminile (detto nella maniera più elegante e meno volgare possibile) –“she’s got giant boobs like the mountains of the sea”-ed è subito grande festa, per uno dei brani più folk-oriented del disco!
Ma cosa ci fanno un pirata, un goblin e un prete che entrano in un bar? È forse una barzelletta? No, è la cover che gli Alestorm hanno fatto del brano Goblins Ahoy! dei Nekrogoblikon dove ancora una volta si ricrea quel vibe da taverna piratesca per un brano più heavy, ma allo stesso tempo carico di melodia, di cambi di tempo ed atmosfere inaspettate, come la parte teatrale e semi-splatter cantata in scream nel mezzo del brano. Stupisce anche Chris Bowes che sputa parole a raffica manco fosse Serj dei System Of A Down, per un pezzo vario, folle e assolutamente spassoso!
Ma il meglio deve ancora arrivare con il pezzo ufficialmente più lungo, elaborato avventuroso e ambizioso che gli Alestorm abbiano mai scritto, per un‘epopea da diciassette minuti fatta di epicità, sfuriate in blast-beat e parti tiratissime, a tratti simil-black metal, cori grandiosi, stacchi delicati (anche grazie alla deliziosa presenza di Patty Gurdy come menzionato prima), ma soprattutto una serie di voci che si alternano; e non parliamo solo di Chris, Elliot o Patty, ma anche del monumentale Sir. Russel Allen dei Symphony X che in questo brano ruggisce e ci dona ancora una volta un assaggio della sua classe cristallina. Forse giusto un pochino ridondante il ritornello in fadeout riproposto più e più volte alla fine che ci culla in dei suoni atmosferici come il rimbombo di un tuono e il delicato incedere delle onde…. tanta carne al fuoco insomma, per un pezzo entusiasmamene che si avvicina come qualità ad altri brani epici della band come la amatissima Death Throes Of The Terror Squid.
Dopo un passo indietro verso lidi più power metal e un parziale ritorno alle origini con un disco come Seventh Rum Of A Seventh Rum, gli Alestorm tornano a fare quello che sanno fare meglio, per un platter ambizioso, elaborato, scanzonato e divertente che mescola tanti generi, tante influenze (dal metal moderno, al melodic black, al folk, al power, arrivando alle melodie più epiche ), ma soprattutto ci regalano un disco dettato da una sola parola d’ordine… demenzialità a palate! Si dice che la saggezza viene con gli anni, ma in questo caso gli Alestorm disco dopo disco diventano sempre più irriverenti e folli, con qualche cliché ormai sentito fin troppe volte, in complesso, offrendoci comunque, un altro disco di assoluto valore e assolutamente godibile per una band che live e in studio continua ad essere una assoluta garanzia. AHOY!