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TrueMetal.it presenta: ‘From The Depths’ Vol 04

Di Fabio Vellata - 22 Settembre 2018 - 19:05
TrueMetal.it presenta: ‘From The Depths’ Vol 04

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Il sottobosco underground è sempre più fitto ed intricato, ma TrueMetal.it continua ad esplorarlo senza sosta, condividendo con i lettori i tesori nascosti in questa macchia tanto scura quanto affascinante.

1 – Methedrine – ‘Buil For Speed’

1 Methedrine

Chitarre dowtuned? No. Riffoni squadrati? Neanche. Sheer power? Quanto ne volete.

In questo EP dei Methedrine lo spirito dell’85 scorre potente (e veloce). E per spirito dell’85 intendo la prima stagione in cui l’hardcore punk e il thrash metal iniziarono a incontrarsi, ma in questo caso non parlerei tanto di DRI, COC e SOD, quanto di Verbal Abuse, Dr. Know e, ovviamente, di Upset Noise: ‘Nothing More To Be Said’ all’epoca ebbe la fama di primo album crossover thrash dell’hardcore italiano, e i Methedrine sono ex Upset Noise per due quinti, e due quinti pesanti (Lucio Drusian, voce, e Stefano “Bone” Bonanni, uno dei migliori batteristi dell’hc italiano di sempre). Ma in questa band multigenerazionale il contributo dei più giovani è brillantissimo, specialmente quello delle chitarre di Dario Senes e Mark Simonhell (tra l’altro impegnato con l’hm classico dei Tytus e il d-beat di Eu’s Arse).

L’ultima incarnazione della reunion Upset Noise, quella con due chitarre (e una delle due era Mark Simonhell), dal vivo era di una potenza devastante. I Methedrine dal vivo non li ho ancora visti, ma mi aspetto che ne siano la logica conseguenza. Se il genere vi interessa non me li perderei, né su EP né dal vivo.

(Heintz Zaccagnini)

https://www.facebook.com/MethedrineHC/

Label: Kornacielo

Tracklist:

1) YouPorn Generation

2) Alpha Loser

3) Dirty Harry

4) War Machine

Lineup:

Lucio Drusian – Vocals

Stefano ‘Bone’ Bonanni – Drums

Dario Senes – Guitar

Mark Simonhell – Guitar

Chainsaw: Bass

2 – The GuestZ – ‘Hopeless Case of Perseverance’ 

2 TheGuestZ

Un gran bell’esempio di coerenza quello dei The GuestZ, gruppo capitolino che si è riaffacciato sulle scene underground con un nuovo album interamente autoprodotto dopo parecchi anni di silenzio.

È passato praticamente un decennio dalla pubblicazione del precedente EP d’esordio intitolato “Not for Money, Just for Glory” (era il 2008 ed avevamo avuto il piacere di poterlo recensire proprio in questa rubrica), tuttavia l’orologio per Mimmo God ed i suoi compagni d’avventura sembra essersi fermato.

Cristallizzato in una bolla temporale che non accetta lo scorrere del tempo e continua a nutrirsi, caparbiamente, di tutto quello che è stato l’immaginario hard rock classico e schietto di fine anni settanta – inizio ottanta, privo di orpelli, asciutto, diretto e soprattutto carico di vitalità e divertimento.

Sarebbe sin troppo facile spiccare un paragone con moderni eroi del genere come Airbourne e The Answer, per citarne un paio: in effetti, ai The GuestZ sembrano proprio piacere gli AC/DC e i The Cult. Al di là di ogni cosa e sopra ad ogni possibile fonte d’ispirazione.

Melodie gagliarde, voce cartavetrosa, chitarre scattanti e impetuose, canzoni semplici e dirette che se ne infischiano di ogni diatriba tra vintage e modernità per lasciarsi andare senza troppi patemi verso i sentieri di un bell’hard rock esuberante ed energico, semplice quanto si voglia, eppure – come giustamente sostenuto dalla stessa band – sempre in grado di far battere il “piedino” e muovere la testa a ritmo. Complice anche, una buona produzione a cura di Danilo Silvestri (già produttore dei Giuda).

Arrichito dalla cover di “I Was Told” dei Rhino Bucket posta in chiusura di album, “Hopeless Case of Perseverance” (un titolo semplicemente perfetto!) non ha alcunché di rivoluzionario o diverso da mille altri cd che in tanti di noi hanno ascoltato nell’arco della propria vita di appassionati.

Eppure capace di rinnovare per l’ennesima volta la magia del rock, quello che puzza di sudore, sa di “vero”, scorre orgoglioso e vive per il semplice gusto di farlo, senza bisogno di conferme o grandi ovazioni. Fiero semplicemente di essere coerente con se stesso.

Come già all’esordio, i The GuestZ ci paiono ancora meritevoli di plauso ed approvazione, insomma. Con la speranza che non servano altri dieci anni per rivederli nuovamente all’opera…

Voto 78/100 (Fabio Vellata)

www.theguestz.com

Indipendente/Autoprodotto

Tracklist:

1) Perseverance

2) Gettin’ Laid

3) Acid Easy

4) Ridin’ On The Road

5) Eyes Wide Open

6) Every Underdog Has His Day

7) When The Fat Hits The Fire

8) Make My Day

9) Leave It Alone

10) I Was Told (Rhino Bucket)

Line-Up:

Mimmo God – Voce

Jonna – Chitarra

Rob n Röll – Basso

Armando Mefisto – Batteria

3 – Aeren – ‘Breakthru’

3 Aeren

Altro giro, altra band impropriamente inserita nell’immane calderone indefinito del “rock”, laddove di rock – quello propriamente detto – nella loro musica c’è davvero pochino.

Pugliesi, con all’attivo un EP datato 2015, gli Aeren si propongono piuttosto come una realtà attiva in territori alternative (altra definizione che vuol dire tutto e niente, dobbiamo ammetterlo!), in cui convivono chitarre mai troppo aggressive, melodie vicinissime al pop ed ambienti “sintetici” che ricamano addosso a questo primo album intitolato “Breakthru” un alone di modernità accattivante. Un menù che, dopo tutto, finisce per non dispiacere nemmeno.

Come accaduto altre volte in questa rubrica, eccoci quindi a trattare di un gruppo che si inserisce solo trasversalmente nei generi prediletti dai frequentatori di roba metallica, i quali, ad ogni modo, qualora dotati di un pizzico d’apertura mentale potrebbero apprezzare le sensazioni immediate ed ammiccanti contenute in “Breakthru“.

Una mistura definibile come un incrocio tra Muse, Evanescence, Lacuna Coil e 30 Seconds to Mars, con in aggiunta un “quid” che ricorda in parte alcune cose prodotte dalla sempre ottima Anneke Van Giersbergen (merito probabilmente della notevole voce di Silvia Galetta): nulla insomma che abbia domicilio nel variegato mondo del rock duro o del metal vero e proprio.

Tuttavia un disco adornato da alcuni momenti piacevoli (“Time Flux”, “Preachers” e “Lightheartedness” un ascolto lo meritano) ed interessante al fine di mettere in risalto le qualità di un ensemble capace di costruire armonie attraenti ed orecchiabili.

Magari da perfezionare ma comunque godibile, il primo full length della band fondata da Simone Solidoro e Simone D’andria nel 2014, insieme alla già citata Silvia Galetta e Cosimo De Marco, si propone come una buona alternativa (appunto) alla consuetudine hard n’heavy.

Una sbirciatina verso realtà limitrofe ed un po’ fuori traiettoria, talvolta può essere esperienza tutt’altro che spiacevole…

Voto 70/100 (Fabio Vellata)

https://www.facebook.com/aeren.official/

Label: Slip Trick Records (2018)

Tracklist:

1) Time Flux

2) Wrong Reactions

3) Preachers

4) Shooting Stars

5) [Prelude]

6) Breath of Air

7) Our Flaws

8) Lightheartedness

9) Don’t Fall Apart

10) In the Wall

11) No Way for Crying

12) Bad Weakness

Lineup:

Silvia Galetta – Voce

Simone D’Andria – Chitarre

Simone Solidoro – Basso / Tastiere

Cosimo De Marco – Batteria

4 – Urban Steam – ‘Under Concrete’ 

4 urbansteam

In giro dal 2012, gli Urban Steam sono l’ennesimo esempio di band dalle evidenti qualità ancora inesplorate presente nel sottobosco musicale italiano. “Under Concrete” è il loro primo full length, edito da Red Cat Records e seguito dell’ep di debutto datato 2014.

Vengono definiti impropriamente “alternative rock”, lasciando magari intendere attinenze di un qualche tipo con l’universo un po’ post grunge ed un po’ modern che da qualche anno a questa parte sta sgomitando al di là dell’oceano, alla ricerca di una visibilità sempre maggiore.

In realtà la definizione appare quanto meno fuorviante: la tessitura dei brani, il tenore delle composizioni in costante ricerca di un approccio raffinato e lo stile talora nervoso ed irrequieto che caratterizza i pezzi del quartetto romano hanno, in effetti, un che di maggiormente accostabile al prog, laddove alla forza dirompente, all’attacco selvaggio, all’espressione incentrata sulla veemenza, si predilige un taglio più ragionato, complesso, meno lineare e – va da se – dotato di minor immediatezza.

La cifra tecnica in dote alla band è decisamente alta, così come il desiderio di non apparire mai banali o troppo ancorati ad un canovaccio univoco o facile da etichettare, allineando una serie di influenze trasversali che vanno dai Queensryche ai Mordred, passando per Rush, Porcupine Tree ed Extreme.

Canzoni quali “They Live”, “Cross The Line“, “Wake Up” e “Citylights” mettono in mostra un armamentario completo in merito ad esperienza e destrezza, latitando tuttavia, in pura e semplice comunicatività e forza espressiva.

Il lavoro svolto dagli Urban Steam è sinceramente di buon livello: nonostante ciò, le emozioni, le linee melodiche in qualche modo memorabili e le canzoni in grado di spiccare il volo risultano alla resa dei conti meno di quanto davvero nel potenziale della band.

In definitiva, notevole abilità, ottimi suoni ed una confezione molto elegante, sono i punti a favore di un album cui manca qualcosa in termini di feeling per potersi definire davvero completo sotto tutti i punti di vista.

Voto 65/100 (Fabio Vellata)

www.urbansteam.it

Label: Red Cat Records

Tracklist:

1) Storm

2) They Live

3) Soul

4) Under Concrete

5) Cross The Line

6) Citylights

7) Wake Up

8) Years

Lineup:

Paolo Delle Donne – Voce

Federico Raimondi – Chitarra

Fabrizio Scianò – Basso

Diego Bertocci – Batteria

5 – Acedia Mundi – ‘Speculum Humanae Salvationis’

5 Acedia Mundi

Prima fatica discografica per i francesi Acedia Mundi. Il progetto vede la luce nel 2013 ma solo oggi ci regala l’unica, per ora, uscita in studio. Black metal il loro, gelido e selvaggio, slegato però da determinati clichè. Dissonanze e variazioni ritmiche infatti sono padrone di “Speculum Humanae Salvationis”. L’intento degli artisti è di creare un caos che guardi oltre il mero sguardo di livore della nera fiamma, distorte visioni che dalla scuola svedese si intersecano con quella più atmosferica e ovattata americana. Alcuni nomi che balenano alla mente sono Dark Funeral, Nachtmystium e Bethlehem. Chiave avanguardista con l’intento di voler andare oltre alla classica via della old school. Al di là delle dichiarazioni, resta quell’impronta selvaggia del genere, ma è indubbio come ci siano pochi e chiari punti di riferimento, così da stuzzicare la curiosità anche dei palati più raffinati. Il tempo ci dirà come le cose eventualmente evolveranno, ritenendo già Acedia Mundi gemma nera del filone estremo.

78/100 (Stefano Santamaria)

https://www.facebook.com/AcediaMundi

label: Throats Productions

Tracklist:

1) Spreading Venom in the Hearts of Children      

2) Ab-Jection

3) Deconstructing My Soul  

4) The Saddist Is the Saddes

5) From Sodom to Magog   

6) Ceux qui Marchent          

7) Nos Qui Non Electi Sumus…      

8) …. Sumus Fex Dei           

Lineup

V. – Guitars, Vocals

J. – Guitars, Vocals

W. – Bass

6 – My Haven My Cage – ‘Sweet Black Path’

6 My Haven My Cage

Secondo album in studio, ad un anno di distanza da “The woods are Burning”, per il progetto siciliano My Haven My Cage. La band, composta da un solo musicista, ci regala un thrash metal dalle tinte heavy, con forti connotati folk di stampo medio orientale e normanno.

Influenze che trasudano della terra natia dell’artista; strutture melodie e strumenti (flauto e marranzano) classicamente ancorati alla memoria storia della regione. Operazione apprezzabile, ancora non pienamente sostenuta da una produzione scarna e da alcune lacune tecniche che, onestamente, rendono però ancor più primordiale e affascinante questo tipo di uscita.

C’è una fortissima dose di genuinità e di personalità nel disco, impegno certamente encomiabile per la voglia di parlare di se stessi e del concetto pagano di musica, senza andare a pescare per forza terre lontane, ma attingendo dalle proprie radici.

Ci piacerebbe vedere affinati i passaggi ritmici, magari con l’ausilio di qualche musicista di ruolo, così come anche una diversa resa sempre dei bassi e della batteria, troppo spesso sibilanti e “zanzarosi”. Stesso discorso per il comparto vocale, evanescente a tratti. Per il resto non possiamo che definire lodevole lo spirito e il lavoro di My Haven My Cage. Purtroppo non abbiamo info sull’identità del musicista, segnalandovi la sua pagina facebook e consigliandovi vivamente l’ascolto di “Sweet Black Path”.

68/100 (Stefano Santamaria)

https://www.facebook.com/myhavenmycageband/

Indipendente/Autoprodotto

Tracklist

1) Abyss I Am

2) Immigrant Song

3) Delirium

4) Hope

5) Peaceful

6) Lamb Of God

7) Werther Dies

8) Sweet Black Path

7 – Hellfukkers – ‘Rock & Roll Attitude’

7 Hellfukkers

Rock & Roll Attitude” è il disco di debutto dei torinesi Hellfukkers, il cui titolo può essere tranquillamente utilizzato per descrivere l’essenza della band. Già, perché dalle quattordici tracce che compongono la prima fatica del quartetto di Torino emergono una passione e una fame di rock’n’roll come non si sentiva da tempo. Come facilmente intuibile, i Nostri sono dediti a un hard rock “stradaiolo”, in cui fanno spesso capolino aperture “punkeggianti” e altre più heavy oriented, riportando spesso alla mente, per il tipo di approccio, gli Hardcore Superstar. Ci troviamo così al cospetto di un disco esplosivo, eretto attorno all’energico lavoro di Du alla chitarra che, senza perdersi in virtuosismi fini a sé stessi, va dritto al sodo, con riff che trasmettono “voglia di festa”, ben supportati dalla sezione ritmica matura, dove spicca il lavoro di Schizzo alla batteria. Un discorso più approfondito va invece fatto per la voce di Davy. La sua timbrica nasale e il suo stile punk oriented, affidato all’istinto e lontano dai tecnicismi dei giorni nostri, a un primo ascolto rappresentano un ostacolo, facendo storcere il naso. Dopo ripetuti passaggi, però, entrando in pieno in quella rock’n’roll attitude citata nel titolo del disco, la prova al microfono di Davy diventa un aspetto caratteristico degli Hellfukkers, a cui difficilmente si può resistere, trovando un perfetto connubio tra musica e voce, come testimoniano canzoni come ‘Supersonic Jackass’, ‘No More’ e le conclusive ‘Move Your Feet’ e la title track. Certo, Davy può sempre migliorare, ma il risultato in “Rock & Roll Attitude” è vincente. Gli Hellfukkers sono al lavoro sul secondo disco, in attesa del nuovo materiale gustiamoci questo “Rock & Roll Attitude”, un album consigliato a tutti gli hard rocker duri a morire.

Voto 68/100 (Marco Donè)

https://www.facebook.com/Hellfukkers

Indipendente/Autoprodotto

Tracklist:

1) Intro

2) 85 Dollars

3) Back Off

4) Supersonic Jackass

5) Parachute

6) Here for You

7) Life That Kills

8) All That We’ve Been

9) Back on Stage

10) Horror Night

11) No More

12) Inside

13) Move Your Feet

14) Rock & Roll Attitude

Line-up:

Davy: vocals

Du: guitar

Alex: bass

Schizzo: drums

8 – The Sade – ‘Grave’

8 sade

Grave” è il terzo lavoro dei padovani The Sade, interessantissimo power trio dedito al verbo del rock, oscuro e maledetto. “Grave” si presenta come l’opera migliore fin qui realizzata dal terzetto, caratterizzata da una spiccata poliedricità compositiva. Il disco si rivela vario e coinvolgente, ben strutturato e suonato, frutto di una formazione che evidenzia una maturità artistica finalmente raggiunta. Le influenze della band sono facilmente individuabili, senza però che le composizioni cadano nello scontato o nel “già sentito”, aspetto che i The Sade riescono a scongiurare grazie al continuo intreccio di generi e atmosfere che ci accompagnerà per tutta la durata del platter, tenendo viva l’attenzione dell’ascoltatore per l’intero minutaggio del disco. Ci troviamo così in una sorta di viaggio che, partendo da una solida base goth-punk rock, ci porterà a incontrare cavalcate heavy, aperture “blueseggianti”, sino ad alcune melodie che si riveleranno capaci di richiamare alla mente un certo Chris Isaak. Un lavoro che sembra nato seguendo e mescolando le lezioni impartite da nomi come The Damned, Glen Danzing e The Cult. I The Sade dimostrano di avere le capacità per poter migliorare ulteriormente; una formazione che va tenuta sott’occhio e che potrebbe regalarci qualcosa d’importante. In attesa di ciò che sarà, gustiamoci questo “Grave”, disco consigliatissimo.

Voto 70/100 (Marco Donè)

http://www.thesade.com/

Indipendente/Autoprodotto

Tracklist:

1) Prayer

2) The Raven

3) Seek Seek Seek

4) Afterdeath

5) Black Leather

6) Graveyard

7) Coachman

8) Burnt        

9) Nyctophilia

10) Charlie Charlie

Line-up:

Andrew Pozzy: Vocal, Guitars, Piano/Synth

Silvia: Bass

Matt Sade: Drums

9 – Feretri – ‘Un oscuro scrutare’

9 Feretri

Viene da Palermo la piccola e, ci viene da dire, ambiziosa one-man-band Feretri. Gestito dal master mind Snor Flade, il progetto in pochi anni ha già dato alle stampe diversi EP e uno split. Ambizioso dicevamo, e a buon ragione. A cominciare dal concept di questo un nuovo Ep “Un oscuro scrutare” che rende omaggio ad uno dei più tremendi (e meravigliosi) romanzi dello scrittore di fantascienza statunitense Philip K. Dick. La prova si compone di tre pezzi, cui si aggiungono un intro ed un outro. Anche la musica si distingue per una certa originalità. Oltre alle liriche in italiano, che fanno sempre piacere e, come detto, si segnalano per i riferimenti ad un romanzo complesso e profondo, la musica composta si segnala per una discreta originalità. La grezzura del black prima maniera si mischia infatti a scrosciate di elettronica che avvicinano i Feretri a certi strani progetti di casa Darkthrone (tipo gli Isengard). Il risultato, seppure di primo acchito lasci interdetti, convince in positivo con il proseguire degli ascolti. Le composizioni sono solide e si stampano bene nella mente dell’ascoltatore. La speranza, dunque, è quella di vedere a breve i Feretri cimentarsi con un full-length.

Voto 70/100 (Tiziano Marasco)

https://www.facebook.com/feretri/

Indipendente/Autoprodotto

Tracklist:

1) Intro

2) Passeggiata criminale

3) Freddo interiore

4) Richiamo dell’istinto

5) Outro

Line up:

Snor Flade – tutti gli strumenti e voce

10 – Droid – ‘Terrestrial Mutations’

10 Droid

Terrestrial Mutations’ è l’album d’esordio del Canadesi Droid, pubblicato il 28 aprile 2017 via Nightbreaker Productions e preceduto da due demo dimostrativi del 2013 e del 2014 e dall’EP ‘Disconnected’ del 2015.

Il genere suonato dai Droid è un sofisticato Progressive Thrash Metal, i cui gruppi di riferimento maggiori possono dirsi i Vektor ed i Voivod di fine anni ’80, anche se la peculiarità del combo è quello di dare maggior spazio alla melodia che non alla furia.

L’album è vario e poliedrico, unendo brani più diretti di minutaggio medio, dove è l’anima Thrash ad essere esaltata, pur senza eccessi spasmodici (quali ‘Amorphous Forms (Shapeless Shadows)’ e ‘Suspended Animation’) , ad altri più lunghi, complessi ed articolati, con sezioni che si agganciano al Metal più tradizionale e lunghe parti musicali cariche di atmosfera onirica, dove la chitarra è protagonista uscendo dal genere per addentrarsi in sentieri dove il Progressive domina (quali ‘Abandoned Celestial State’ e la Title Track ‘Terrestrial Mutations’) .

Tecnica, voglia di uscire dagli schemi, strizzando comunque l’occhio al passato (come dimostra anche la cover in stile anni ‘80), ed il coraggio di sperimentare, come evidenziato soprattutto nella conclusiva ‘Mission Drift’, che trasporta l’ascoltatore attraverso un sinuoso viaggio cosmico, sono le caratteristiche che il trio canadese ben esprime in questo primo lavoro sulla lunga distanza. Da evidenziare solo qualche pecca, quali un cantato ruvido valido, ma non troppo versatile ed una sezione ritmica che fa un buon lavoro di accompagnamento senza, però, particolari evidenze.

In definitiva, un album che val la pena di ascoltare, soprattutto se si è amanti di quel Thrash che non esprimeva solo furia e rabbia, scaturito, all’epoca, dalla voglia evolutiva di alcune band come i già citati Voivod, ma non di facile assimilazione, molti brani infatti necessitano di più di un passaggio per rimanerne coinvolti.

Teniamo i Droid sotto controllo, potranno riservarci buone sorprese.

VOTO: 68/100 (Andrea Bacigalupo)

https://www.facebook.com/DroidDroidDroid/

label: Nightbreaker Productions

Tracklist

1) Amorphous Forms (Shapeless Shadows)

2) Suspended Animation

3) Abandoned Celestial State

4) Terrestrial Mutation

5) Pain Of Reincarnation

6) Temptations Of Terminal Progress

7) Cosmic Debt

8) Excommunicated

9) Mission Drift

Lineup:

Jacob Montgomery – Guitar/Vocals
Chris Riley – Bass
Sebastian Alcamo – Drums

11 – Gökböri – ‘Erlik’

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I Gökböri sono nati nel 2009 a New York dall’incontro tra il chitarrista Emre Balık, trasferitosi dalla Turchia, ed il batterista Jesse Haff.

La loro intenzione era quella di suonare un Black/Thrash, influenzato da quanto realizzato negli anni ’80, ma con l’aggiunta di alcune melodie tipiche del folk turco.

Dopo il debutto discografico del 2013, con l’album ‘Balbal’, il duo è diventato un trio con l’aggiunta del bassista Koray Önder, con il quale hanno pubblicato, nel 2017, il secondo platter, dal titolo ‘Erlik’.

Il lavoro è composto da otto brani, cantati in lingua turca antica (come nel primo album) ed aventi come tema i lati più oscuri dell’antica mitologia ottomana, come ad esempio il sovrano degli inferi (‘Erlik’), l’inferno Tamu (‘Tamuya’), i fantasmi che appaiono al tramonto e all’alba (‘Körmösler Görmezler’).

La musica di ‘Erlik’ è un heavy/thrash con sfumature black vecchia maniera, come se ne sente tanta, senza alcuna novità, con un tiro non esagerato ma discreto ed ascoltabile.

Le tessiture, molto semplici ma comunque dinamiche, ricordano spudoratamente i Venom ed i primi Celtic Frost, trasportati ai giorni nostri come arrangiamento e produzioni.

La voce è profonda e sporca, influenzata alla grande da Cronos, e gli assoli, presenti in pochi brani, sono discreti ma non incisivi.

Tirando le somme, ‘Erlik’ è un album senza infamia e senza lode, che entra nel mare agitato di tutti quei dischi ‘a mezza via’ che, se non fosse per la copertina, possiamo confonderli uno con l’altro. Il cantato in lingua turca antica incuriosisce ma non esalta, non essendo proprio adatta per il genere suonato.

Giudizio sufficiente ma non di più. Si spera che il prossimo lavoro contenga un po’ più di personalità.

VOTO: 60/100 (Andrea Bacigalupo)    

https://www.facebook.com/gokbori/

label: Hammer Müzik

Tracklist:

1) Tamuya

2) Yelbegenler Yüresi

3) Karabasanlara Dönüş

4) Gökten Gelen Tuğ

5) Erlik

6) Körmösler Görmezler

7) Ben, Ang

8) Çift Başlı Kartal

Lineup:

Emre Balık – Guitars, Vocals

Jesse Haff – Drums

Koray Önder – Bass, Vocals (backing)