Recensione: Threshold of Time

Di Fabio Vellata - 3 Novembre 2018 - 0:02
Threshold of Time
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 2018
Nazione:
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76

È già fuori da qualche mese ma merita comunque un’adeguata segnalazione l’opera prima dei Daylight Silence, band capitolina uscita recentemente per Red Cat Records con l’interessante debut album intitolato “Threshold of Time”.

Piuttosto stimolante, sia nella parte musicale che in quella riservata ai testi, il disco assume i connotati di un concept album con una storia parecchio originale quale fondamento su cui poggiare intrecci musicali tutt’altro che elementari ed inconsistenti.
Ben strutturata, la storia messa in scena si dipana all’alba di un ipotetico quarto millennio fatto di gravi disuguaglianze, disagi e decadenza. Uno scenario estremo in cui prende vita il cosiddetto Daylight Silence Project, sorta di viaggio interdimensionale “della speranza” mediante il quale poter esplorare mondi ed universi paralleli alla ricerca di risorse e tecnologie utili al miglioramento della società d’origine.
Un viaggio in realtà senza ritorno, che vincolerà i protagonisti – tutti soggetti sacrificabili, selezionati tra la feccia della società – ad un eterno esilio tra le pieghe del multiverso.
Un’eternità scandita dallo sconforto di un distacco infinito, trascorso a suonare al fine di “far vibrare lo spazio” con la propria musica.

Gli attori della vicenda, va da se, altro non sono che i membri della band, impegnati in una serie di brani improntati ad un heavy prog fascinoso e lineare, tradizionale nei connotati e ben ancorato all’immaginario ottantiano appartenuto a Crimson Glory, primi Fates Warning e soprattutto ai Queensrÿche dell’immortale “Rage for Order“.
Ispirazioni “pesanti” e paragoni non proprio facili da affrontare che, ad ogni modo, i Daylight Silence allineano con padronanza e decisa convinzione.

L’immagine, lo stile, l’approccio e tutta l’impalcatura che condisce il progetto, possiedono, in effetti, doti di fascino e peculiarità tali da rendere l’idea per nulla banale e priva di significato.
Le contestazioni possono probabilmente essere a carico di uno stile musicale valido, ma ancora da affinare per quanto al riguardo di un songwriting che non potremmo di certo definire poco ispirato, ma che, tuttavia, al momento appare non ancora in grado di mettere a regime brani davvero memorabili in termini di linee melodiche, cori e ritornelli.
Una sfumatura che, se da una parte non consente ancora al progetto dei cinque “pendagli da forca” romani di spiccare il volo verso lidi d’eccellenza assoluta, si rivela comunque poco determinante (al momento), nel condizionare il possibile successo di un progetto che mostra, sin da oggi, un arsenale di qualità notevoli da poter spendere in occasioni future.

Una band composta non certo da musicisti di primo pelo (le abilità tecniche sono evidentissime anche all’orecchio degli inesperti), alle prese con un’idea curiosa e senz’altro con pochi precedenti o paragoni nel panorama musicale odierno.
Con tutta probabilità una delle uscite migliori prodotte da Red Cat Records, encomiabile nell’aver voluto supportare e presentare al pubblico una proposta alla quale, dal canto nostro, ci pareva un peccato non offrire un po’ di visibilità ancorché con qualche mese di ritardo.

Il prossimo passo discografico sarà già risolutivo nel definire le ambizioni dei Daylight Silence: le basi, importantissime, inducono al massimo ottimismo.

 

 

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