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Intervista Claudio Trotta (Barley Arts) pt.2

Di Davide Sciaky - 22 Marzo 2024 - 10:00
Intervista Claudio Trotta (Barley Arts) pt.2

Di seguito la seconda parte della nostra intervista con il fondatore di Barley Arts, Claudio Trotta. Se nella prima parte (che trovate qui) ci siamo concentrati sul suo nuovo festival, il Comfort Festival e abbiamo parlato dell’imminente concerto degli AC/DC, nella seconda abbiamo parlato della situazione degli eventi live più in generale, dell’evoluzione della scena live in Italia negli anni, ma anche della storia professionale del promoter e in particolare di un evento che ha fatto la storia della musica pesante in Italia, il Monsters of Rock!

Intervista a cura di Davide Sciaky

Rimanendo in tema lamentele, anche se forse non è la definizione più precisa, una cosa che si sente spesso, o almeno, a me è capitato di sentire discretamente spesso, è che “negli anni 80, negli anni 90 le cose erano meglio”. Sicuramente dalla tua posizione hai una visione d’insieme più completa…

Ma meglio da che punto di vista? Potrei anche essere d’accordo io su alcune cose.

Infatti proprio questo lo chiederti, cos’è che secondo te effettivamente è meglio oggi e se invece c’è qualcosa che all’epoca era davvero meglio?

Negli anni ‘70 c’era il fenomeno delle contestazioni, i biglietti costavano 2.000 lire, l’equivalente di 1 euro di adesso, e c’era una componente del pubblico che non voleva pagare neanche quelle e che sfondava e impediva lo svolgimento dei concerti. Gli organizzatori di allora, che ora ci hanno tutti lasciati, erano Franco Mamone, uno dei miei mentori, David Zard e Francesco Sanavio, erano definiti i padroni della musica. C’era anche un libretto di Dario Salvatori, che proprio si chiama “I padroni della musica”.
Ora, facciamo un salto temporale, un bel po’ di anni dopo, diciamo 15-20 anni fa, è iniziato un consolidamento internazionale nelle mani di pochi multinazionali, quando dico poche parlo di due o tre multinazionali, che letteralmente hanno comprato tutto quello che potevano comprare, e non hanno “ufficialmente”comprato il pubblico, perché ovviamente il pubblico in forma ufficiale non lo si può comprare, ma hanno attuato una metodologia per cui il pubblico è diventato da un pubblico fruitore, un pubblico consumatore, spesso e volentieri acritico. Queste società hanno in tutto il mondo il controllo o la proprietà di un larghissimo numero di promoter e di strutture e di festival dove si fanno concerti.
Hanno acquisito le agenzie che rappresentano gli artisti, i management che ne curano gli interessi,  le società di merchandising,  i database di un numero enorme di fan club, e poi addirittura ci sono stati i merger con le società di ticketing.
Ora, a fronte di una situazione di questo genere devi convenire con me, che fa sorridere la definizione “i padroni della musica” per degli organizzatori che, sì, ogni tanto hanno anche fatto delle cose non fatte bene, ma che oggettivamente lavoravano in un ambito in cui non c’era la rete, non c’era la biglietteria elettronica, non c’era la professionalità diffusa nelle maestranze, nel servizio d’ordine, nel facchinaggio, nel service audio e luci, nei palchi, eccetera, eccetera, eccetera.
Quindi è evidente che se ci si riferisce a determinati anni in cui la musica del vivo, tanto per dirne una, era tutta dal vivo. Adesso buonissima parte degli spettacoli di massa non sono suonati dal vivo: la Trap non è cantata dal vivo, l’Urban spesso e volentieri non è suonato dal vivo.
In tutto il mondo c’è una diffusa limitazione di utilizzo dei musicisti e quindi degli strumenti musicali. Se muore la categoria dei musicisti e se muore l’utilizzo degli strumenti musicali, rimarrà solo musica elettronica, musica riprodotta, musica digitale e algoritmi.
E’ evidente che se si fa un ragionamento relativo a i prezzi dei biglietti, questi sono aumentati molto di più di quanto sia accettabile rispetto al tenore di vita degli italiani, e qui parliamo dell’Italia, se poi parliamo della qualità degli spettacoli da un certo punto di vista c’è stato uno sviluppo enorme di tecnologie, scenografie, quant’altro, ma dall’altra abbiamo perso per strada molti club, abbiamo perso per strada molti festival, abbiamo perso per strada molte occasioni di musica live. E’ tutto molto più “business oriented”, è tutto molto più commerciale, e non è che sia un male essere commerciali, è un male essere omologati, c’è molta più omologazione e meno possibilità di scegliere, c’è meno personalità, meno ricerca.
E’ indiscutibile che andremo verso la smaterializzazione del biglietto, che sarà la vera soluzione per abbattere il secondary ticketing definitivamente. La smaterializzazione è ovvio che non comporta più un biglietto fisico. Sì, comporta il fatto che lo puoi stampare e magari le biglietterie ti daranno la possibilità di stampare un biglietto anche di qualità per fare come facciamo tutti e tenerlo per ricordo.
Ma da un punto di vista della sicurezza nei luoghi pubblici è sicuramente migliorato, da un punto di vista della qualità dei service audio e luce è sicuramente migliorato. Se si parla di creatività no, la creatività è peggiorata, senza ombra di dubbio. Poi dopo, grazie a Dio, ci sono i “Porcupine Tree”, cioè ci sono ancora artisti unici.
Chi pensa  che adesso non esce più musica buona sbaglia, io sono uno che compra vinili e CD ma anche musica digitale, faccio playlist quasi tutti i giorni con il mio profilo di Spotify, andando a scoprire quasi tutti i giorni cose nuove, e ho 67 anni, perché un ragazzo di 18, di 15, di 16, di 20 o di 30, una donna, non possono farlo come lo faccio io? E non è vero che i CD costano troppo, i CD costano niente adesso, l’oggetto fisico ha una sua realtà, ma soprattutto la realtà deve essere quella di avere della curiosità. La curiosità non si può sempre pretendere che siano gli altri che te la alimentino, deve essere una tua volontà, un tuo desiderio, una tua passione, una tua sfida. Alla domanda che mi hai fatto come vedi si possono dare tante risposte.

 

Hai accennato al tema del Secondary Ticketing, che so ti sta particolarmente a cuore, hai anche organizzato una conferenza mondiale sul tema. Qual è la situazione ad oggi in Italia e nel mondo?

La situazione in Italia, tanto per cominciare, è che con la legge sul nominale è oggettivo che il fenomeno è diminuito tantissimo. Sarebbe anche importante, da parte di tutti, gli organizzatori, i servizi di controllo, e anche il pubblico che i controlli venissero fatti e richiesti, che il pubblico evitasse di provare a vendere i biglietti su Ebay o in altre modalità, perché ci sono delle piattaforme ufficiali di resale, dove si può vendere a quanto si è pagato, ed è tutto legittimo che la piattaforma voglia un quid per il servizio.
Più in generale, il tema però grave è quello del dynamic pricing.
A osservare le cose con un minimo di attenzione questo è anche peggio del Secondary perché significa, come già è successo negli Stati Uniti e anche in alcuni paesi europei, che tu compri il biglietto alle 10 e lo paghi 50 euro, io lo compro alle 10 un minuto e lo pago 400 euro, perché un algoritmo che l’artista ha autorizzato tramite i suoi manager di mettere nel sistema di biglietteria, stabilisce in base al numero delle persone che si sono messe online che la richiesta è più alta, altissima, o quello che, e aumenta il prezzo. Questo è, a mio parere, un fattore gravissimo che è doppiamente grave, perché mentre il secondary ticketing vedeva solo parzialmente gli artisti coinvolti, tu ricorderai il caso dei Metallica che ammisero di aver dato per un tour un certo quantitativo di biglietti a un sito di secondary ticketing, come ricorderai sponsorizzazioni di Viagogo con artisti Pop internazionali, ma in questo caso è peggio perché con il dynamic la differenza va quasi direttamente tutta nelle tasche dell’artista, ragion per cui scattano due meccanismi che sono tipici di quasi qualsiasi artista sul globo: l’ego, “Ah, il pubblico è pronto a spendere mille euro per me, quindi io sono più figo”, e il portafoglio, “Ah, il pubblico è pronto a spendere, io posso guadagnare di più”, anche se non c’è neanche un reale bisogno. Per l’amor del cielo, nessuno mette in discussione che le ricchezze di questi cantanti sono più che meritate, non le hanno portate via a nessuno, non hanno portato via risorse allo Stato, quello che è, però insomma mi chiedo, quando uno ha 50 milioni di dollari nel conto corrente invece che 53, che cosa cambia? O ne ha 551 invece che 563, cosa cambia? [Ride] Non lo so, poi questo problema forse né io né te ce l’abbiamo e non lo avremo mai [ride].

 

Dalle tue parole ho sentito una grande passione per la musica, però chiaramente quando sei nella tua posizione uno deve pensare anche all’aspetto commerciale, a far andare avanti la baracca, per così dire. Ci sono state delle situazioni in cui invece è prevalsa soltanto la passione…

Beh, ce ne sono state svariate.

…e magari hai portato dei concerti che non avevano un grande pubblico semplicemente perché volevi vederli te, perché erano gruppi che ti piacevano?

Ma dunque, io direi più che perché volevo vederli io, perché francamente a questo punto allora avrei potuto prendere il biglietto e andarmeli a vedere all’estero e mi sarebbe costato meno anche compreso l’albergo, l’aereo, ristorante e quant’altro, in realtà mi ha sempre guidato la sfida, la curiosità, il desiderio di andare oltre, il desiderio di fare qualcosa che rimanesse e che in qualche maniera migliorasse la percezione generale e migliorasse la qualità di tutti e anche la mia. Quindi, spesso e volentieri ho anticipato i tempi, insomma tu forse ti ricordi il Sonoria ‘94, ‘95, ‘96, ma di casi ce ne sono stati innumerevoli: mi ricordo Randy Newman la prima volta che venne in Italia con 400 paganti al Teatro Nazionale, ma di casi ce ne sono tantissimi. Ripeterei quasi tutto quello che ho fatto, compresi gli errori, perché la natura umana è perfettibile, non perfetta e non vorrei che lo diventasse mai, infatti l’intelligenza artificiale mi spaventa personalmente perché la vedo come una modalità che ci farà perdere ancora di più l’umanità, già una cosa che è percepibile anche solo camminando per le strade, la perdita di l’umanità, ma sì, ribadisco, ci sono stati tanti casi e sono fiero e contento di aver portato in Italia per primo tantissimi artisti, tra l’altro in campo Hard Rock e Heavy Metal veramente tanti, ho sviluppato festival e format prima di chiunque altro, anche fuori della musica, nello spettacolo dal vivo e nei teatri. Ho portato per esempio Shaolin Monks per la prima volta. Rifarei quasi tutto, ovviamente ne ho pagato le conseguenze, per l’amor del cielo, ma vedi, si tratta sempre di capire che cosa si vuole da questa nostra presenza temporanea sulla terra, è tutto lì, non è che uno è più bravo o meno bravo perché mette al primo posto una cosa piuttosto che l’altra, sono delle scelte che si fanno. Io ho privilegiato la passione, la dignità del lavoro, la ricerca, il bisogno di continuare sempre ad andare avanti a creare qualcosa di nuovo e non sedermi mai. Ho fatto bene? Ho fatto male? L’ho fatto, punto e basta.

 

Beh, hai fatto piuttosto bene, considerati i risultati.

Ti ringrazio.

Abbiamo parlato molto in generale, non abbiamo fatto troppi nomi finora, però adesso te lo voglio chiedere, in oltre quarant’anni hai lavorato con una quantità di artisti incredibili: se te lo chiedessi così a bruciapelo, senza pensarci troppo, chi nomineresti se ti chiedessi l’artista con cui lavorare è stata l’esperienza più bella e più emozionante?

Premesso che io uso sempre la frase che il grande Anthony Bourdain usava rispetto al cibo, dicendo che il cibo perfetto non esiste e che quindi ogni giorno della nostra vita noi abbiamo in quel momento la musica perfetta e quant’altro, se devo dirne solo uno è facile, Frank Zappa.
Perché è stata un’esperienza professionale e umana straordinaria, nove concerti meravigliosi, nove sere in cui siamo andati dopo il concerto a mangiare assieme, ore e ore di conversazioni, stimoli che mi ha dato incredibili, una personalità strabordante, egocentrico come non mai, ma una delle persone più straordinarie che ho conosciuto nella mia vita.

 

Posso immaginare! Ecco, abbiamo parlato di festival, tu sei stato autore di tanti festival, una cosa che però un po’ manca in Italia è un festival che si stabilisca come presenza fissa, soprattutto pensando all’ambito Rock e Metal penso ai vari Hellfest in Francia, Graspop in Belgio.

Hai ragione.

Secondo te come mai non si è mai riuscito imporre un evento del genere nel nostro Paese?

Ma guarda, nel mio caso io sono artefice della, come dire, della mancanza di continuità del Monsters of Rock. Nel ‘94 quando ho iniziato il Sonoria ho pensato che era il momento giusto per lanciare finalmente in Italia un festival rock di tipo anglosassone dove quindi ci fossero più musiche e quindi più pubblici e ho abbandonato di fatto il progetto del Monsters of Rock, anche perché oggettivamente avevo più o meno portato in Italia tutti i gruppi, non avevo immaginato quello che è successo dopo, cioè che, me ne dovrei dare atto, alcuni artisti – non li voglio neanche nominare – negli ultimi dieci anni fanno più pubblico di quello che facevano quando erano a loro meglio. Ma non è che fanno più pubblico, ne fanno [ride] certe volte dieci volte tanto, non avrei mai immaginato questa cosa, ero convinto allora che, come dire, l’orologio dell’età a un certo punto a chi deve sgambettare, urlare e schitarrare avrebbe indotto a fare altro. Avevo sbagliato, ho sbagliato proprio su tutta la linea, perché basta vedere che chi continua a fare numeri enormi sono artisti di sopra i 70 anni, sopra i 60 anni, qualcuno anche 80 anni. Quindi io sono abbastanza colpevole di non aver dato continuità al Monsters of Rock.

E’ anche vero però che c’è un problema, ci sono un paio di problemi endemici di questo paese: uno è che se tu lanci un festival in uno spazio pubblico non hai alcuna garanzia di continuità di utilizzo dello spazio per più degli anni che mancano alla fine del mandato dell’amministrazione locale. Ci sono le elezioni ogni 4 anni, le amministrazioni cambiano, ragion per cui tu di sei fatto concedere il parco di “Canicattì”, dopo 3 anni a “Canicatti “a governare c’è qualcun altro per motivi suoi non vuole farti continuare, o vuole dare lo spazio a un tuo concorrente, o farci un’altra cosa, e tu perdi lo spazio ed è molto importante nella continuità anche la continuità della location. Gli spazi privati, alcuni ce ne sono, ma anche lì spesso e volentieri però cambiano di proprietà, cambiano di vocazione, la politica comunque interviene, cioè il fatto principale è la mancanza di certezze pluriennali rispetto alla location. Poi c’è un altro fatto, purtroppo anche questo endemico, questo non è un paese musicale. E’ un paradosso perché è il paese che dà il nome alla maggior parte dei movimenti delle sinfonie, è il paese dei grandi editori musicali della fine dell’Ottocento, è il paese di una grande tradizione lirica, jazz e di musica tradizionale, non certo di musica Rock, e neanche di musica cantautorale che è a mio parere comunque derivativa, ma non è un paese dove si insegna la musica adeguatamente nelle scuole, dove non c’è formazione musicale adeguata, dove non c’è informazione musicale adeguata. Insomma, in Irlanda sono in 7 milioni di persone, 7 milioni e mezzo suonano qualcosa e cantano [ride]. In Olanda è uguale, in Scandinavia, in Svizzera, in Germania, in Inghilterra. Quasi in qualsiasi paese europeo la vocazione culturale e la componente del live entertainment è talmente endemica e primaria e non è legata alla moda o al momento che ovviamente fa di quei paesi, dei paesi che danno continuità e hanno continuità. Qui non è così.

 

Certo, qua c’è il classico che se uno dice che fa il musicista gli si risponde “E cosa fai di lavoro?”, quindi c’è un problema proprio di mentalità.

Certo, esatto.

Per concludere, l’abbiamo nominato tante volte, il Monsters of Rock è ricordato come uno dei momenti più importanti della musica pesante in Italia, un evento storico. Io stesso non ero ancora nato all’epoca e conosco quasi a memoria tutti i video, le locandine, le line up, insomma è stato un momento veramente unico nella scena musica di questo paese. Pensi che si possa ripetere qualcosa del genere o, anche per via del contesto storico in cui era inserito, rimarrà un evento unico e irripetibile?

Io penso che sia irripetibile per una serie di fattori. In ordine sparso: un fattore artistico, perché gli artisti avevano una maggiore disponibilità a condividere il palco con altri artisti senza essere strapagati, perché è vero che in alcuni paesi nel mondo ci sono dei billing paragonabili e in certi casi anche superiori a quelli dei Monsters of Rock di allora, però sono paesi dove davvero le risorse che hanno questi festival sono inimmaginabili per noi e irraggiungibili. Poi specificatamente rispetto ai Monsters of Rock tu ricorderai che si svolgevano sempre in Emilia Romagna con la collaborazione dei festival dell’Unità di Reggio Emilia, di Modena e di Bologna. Ora, i Festival dell’Unità per chi li ha vissuti, e io sono fra quelli, erano molto particolari perché si basavano soprattutto sul volontariato di centinaia di persone. Questa aria si respirava e la disponibilità delle persone che lavoravano nelle Feste dell’Unità verso quelli che io definivo i miei Signori Clienti era senza limite. Noi avevamo magari 3, 4, 5.000 persone che arrivavano un giorno prima e venivano ospitate gratuitamente all’interno della festa, gli davano da mangiare, li facevano dormire, li facevano lavare. C’era un’attitudine che adesso non c’è più e qui si ritorna al tema dell’umanità che si è persa di cui si parlava prima. Si potevano praticare dei prezzi accessibili, adesso un billing, immaginati un billing come quello del ‘91, AC/DC, Metallica, Queensrÿche e Black Crows, che tra l’altro i numeri di allora, se uno li relativizza erano numeri enormi – noi a Modena abbiamo fatto 42.000 persone che per quell’epoca, per un festival Heavy Metal, in un’epoca in cui l’Heavy Metal era ancora visto male, era ancora considerato musica del diavolo, era ancora considerato musica che porta problemi, musica che porta violenza, tutte falsità ovviamente, 42.000 persone da tutta Italia erano un numero enorme. Adesso un billing di quella natura, se mai si potesse metterà assieme, dovrebbe avere a mio parere un break even di 180.000 persone, perché le richieste economiche dei gruppi… oppure di meno, ma con un prezzo del biglietto irragionevole, cioè veramente è cambiato tutto. Poi se tu mi dici, una tantum si può vedere un billing di quella natura, ti rispondo certo che sì, però non è la stessa cosa. Era un mondo dove non c’era la biglietteria elettronica, dove il pubblico comprava i biglietti con i vaglia telegrafici, arrivavano tipo 10.000 persone alla cassa con la ricevuta del vaglia e ritiravano il biglietto. Era veramente tutto diverso. Noi già allora eravamo molto attenti alle necessità vitali, costruivamo insieme alla Festa dell’Unità all’interno dell’arena delle docce temporanee,c’era già lì un’attenzione per la ristorazione, per trattare le persone umanamente, non solo come dei numeri, adesso è complicato. Nell’insieme la vocazione complessiva del Monsters of Rock di quegli anni a mio parere è irripetibile.

Claudio Trotta e Davide Sciaky, autore dell’intervista, alla recente inaugurazione del pop-up store degli AC/DC