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Maestri di giornalismo HM: Piergiorgio ”PG” Brunelli

Di Stefano Ricetti - 12 Febbraio 2008 - 11:07
Maestri di giornalismo HM: Piergiorgio ”PG” Brunelli

Con immenso piacere ho la facoltà di intervistare uno dei personaggi cardine del giornalismo HM in Italia: Piergiorgio “PG” Brunelli, attivo fin dai primissimi anni Ottanta all’interno della redazione di Rockerilla e ancora oggi sulla cresta dell’onda in quel di Londra, senza perdere un’oncia della passione per il metallo pesante.

Consiglio vivamente di ritagliarVi il tempo necessario per potervi gustare al meglio uno spaccato di vita dedicata alla musica, che idealmente ripercorre le tappe fondamentali del lungo cammino del Nostro amato heavy metal.

Buona lettura e buona visione delle foto…

Stefano “Steven Rich” Ricetti


Nella Nella foto: PG Brunelli e Joe Belladonna (Anthrax) al Monsters of Rock 1988

INIZIO INTERVISTA

Allora Piergiorgio, direi di partire subito in quinta piena, senza alcun tipo di preliminare… come e quando hai cominciato a interessarti di HM?

Direi che ho cominciato a interessarmi attorno al 1970. Ricordo che andai a vedere gli Uriah Heep a Bologna al Palasport il 30 Dicembre 1970 col tour di LOOK AT YOURSELF, ma gia da prima avevo la passione. Rimembro una lunga attesa, un pomeriggio intero, passato da un grossista di dischi che era in via Del Borgo a Bologna proprio vicino a casa mia. Aspettavo PARANOID, comprai MEDUSA dei Trapeze e SALISBURY degli Uriah Heep. Mi interessavo di rock, ma mi piacevano anche gruppi come Genesis, King Crimson, Pink Floyd e VanDerGraaf Generator.

Hai avuto il piacere di far parte della redazione di quella formidabile rivista conosciuta da tutti gli appassionati che è Rockerilla. Come ci sei entrato?

Non ricordo esattamente come ci sono arrivato. Io facevo concerti con la scusa di lavorare per il Gazzettino di Venezia. Avevo un amico che lavorava in redazione a Rovigo e lui conosceva Jo Alaimo, che tuttora mi risulta sia agli spettacoli di quel quotidiano. Organizzava i pass per concerti tipo Police a Reggio Emilia, Patti Smith a Bologna e una serie di festival jazz a Imola, Ravenna e Comacchio a cavallo di 1979-1981. Mi hanno pubblicato qualche foto, ma mai pagato una lira. Non mi preoccupavo perché mi divertivo e mi facevo le ossa. Credo di aver conosciuto Beppe Riva ad un concerto: ho parlato con la redazione e dopo la laurea nella primavera dell’82 sono andato a Londra per un mese. Avevo già fatto Reading nel 1979 e nell’80, più Donington nell’81. La spinta di andare e provarci nacque da due cose: io abitavo a Bologna, le etichette erano a Roma o Milano.

Ero svantaggiato rispetto ai fotografi di quelle città perché i miei contatti erano sporadici e non riuscivo a creare rapporti buoni come i loro. Però ai concerti vedevo gente (non faccio nomi) che mi faceva rabbrividire. Ho pensato: se lo fanno loro io lo posso fare meglio. Poiché il pesce da spartirci era tutto di importazione e i pescatori erano tanti era meglio andare dove nasceva la musica e dove c’erano più opportunità. L’ultimo tassello nel quadro è il tour degli Iron Maiden dell’autunno 1981. Avevano liquidato Paul DiAnno e reclutato Bruce Dickinson. Gli feci foto a Bologna e Milano. Già conoscevo il loro manager Rod Smallwood così mi comprarono tre foto da quel tour e dal Reading 1980 che furono usate nella copertina interna di THE NUMBER OF THE BEAST. La scelta tra l’usare la laurea in Scienze della Produzione animale appena conseguita e l’andare a Londra è stata facile.

Hai lavorato fianco a fianco di monumenti come Beppe Riva e Giancarlo Trombetti… che ricordo hai di loro? Potresti brevemente descriverli? Che rapporto avevi con loro?

Normali e professionali con Beppe. Non ricordo che ci fosse una amicizia particolare oltre al rispetto reciproco. Con Giancarlo le cose erano diverse. Siamo andati a Londra spesso assieme a concerti tipo Reading e gli ho fatto visita anche a casa sua a Viareggio. Eravamo anche assai attivi nello scambio di cassette di concerti. Il fatto che poi abbiamo preso strade professionali diverse non mi ha mai creato particolari problemi di antagonismo. La competizione era tra Puzzo e Bassoli – il direttore di Metal Shock – , due pirati, tra parentesi, non tra me e Trombetti.

Li hai mai più incontrati di recente?

Credo di aver intravisto Beppe ad un concerto, mentre non vedo Giancarlo da una vita. Dopo aver letto la sua intervista grazie a te ci siamo sentiti recentemente ed è stato un vero piacere parlargli. Spero di aver modo di mantenere il contatto sia a livello professionale che personale, sebbene io venga in Italia così di rado che non so se sarà facile incontrarci

Ricordo che in quegli anni spesso eri a Londra e da lì effettuavi le interviste alle band heavy metal. Di fatto hai vissuto il periodo migliore della NWOBHM proprio nella capitale concettuale di quel movimento irripetibile. Di sicuro avrai miriadi di aneddoti a riguardo. Vuoi raccontarne qualcuno?

Mah… è difficile decidere qual’è il più significativo. Ozzy è sempre stato coreografico. Mi ricordo che andai a Cape D’Antibes dove era in esilio e cominciammo l’intervista con lui sobrio. Dopo quattro Rhum e Coca-Cola era fuori come una biscia. Cominciò a dire che se vedeva Kevin DuBrow dei Quiet Riot lo avrebbe ammazzato. Facemmo foto con lui seduto su una porta a vetri e Sharon che lo trattava come un bambino deficente. Ricordo che molti ospiti che passavano la notte nella sua villa si sono svegliati con le sopracciglia rasate. Con lui feci il tour di Shout at the Devil. Era sempre tappato in camera, forse per scappare da Carmine Appice che era un pazzo scatenato. Ero molto amico di Paul Samson e Kevin Riddles, ex-Angelwitch, che era allora nei Tytan.

Andai anche al matrimonio di Kevin Heybourne a Peckham. Avevo anche buoni contatti con MSG e mi recai a quel concerto a Sheffield prima del Reading ‘82, l’unico mezzo show in cui cantò Graham Bonnet che ubriaco presentò il roadie dietro alle quinte come colui che “suona gli accordi che il tedesco non riesce a suonare”. Michael Schenker era fumante di rabbia, cosicché il tour manager spinse Bonnet via dal palco e fu licenziato in tronco. Pagarono mezzo milione di sterline a Gary Barden per farlo tornare nella band per lo show a Reading. Cos’altro? Feci un tour coi Samson a supporto degli Whitesnake. David Coverdale era incredibile. Prima degli show piangeva dai nervi. Lo dovevano spingere sul palco ogni sera. Una volta salito era la persona più sicura di sé mai vista, fuori era la più insicura.

Sempre rimanendo a Londra a inizio Eighties, riesci a descrivere che tipo di atmosfera si respirava in quegli anni di fermento?

A Londra c’erano tanti club più che grandi teatri. Il centro di tutto era il Marquee. Si passava dallo Ship, il pub 100 metri più avanti, dove si beveva un po’ e dove l’unica cosa decente da mangiare era un toast con prosciutto e formaggio, poi lo show e dopo si andava al St.Moritz, un buco di club sotto at un ristorante svizzero che esiste ancora oggi. Lo gestiva uno svizzero che tutti chiamavano Sweetie. Non so se era gay con un nome così. A quei tempi i pub chiudevano presto e c’erano pochi locali che stavano aperti tardi, per cui tutte le band che suonavano al Marquee finivano lì dopo lo show. Non entrare al St.Moritz voleva dire essere degli esclusi.

Le prime volte si entrava per grazia ricevuta, raccomandati da un artista, poi diventai un abituee e feci la tessera. I Motorhead erano degli habitué. Se andavi al bar a ordinare Southern Comfort e Coca il barista ti chiedeva sempre se era per Lemmy. Per lui la percentuale di Southern Comfort era sempre il triplo del normale. Il posto chiudeva alle 3. I musicisti grossi che suonavano all’Hammersmith andavano altrove. Negli anni settanta sopra al Marquee c’era un club, dove il bar era gestito da un australiano e Keith Moon faceva i cocktail. Agli inizi degli anni Ottanta si trasferì a Chalk Farm, Camden. Si chiamava The Funny Farm ed era nell’interrato di un hotel. Non ci voleva la tessera, ma era esclusivo per musicisti e ci entravi solo con loro. Questo chiudeva quando l’ultimo cliente se ne andava. Ci incontravi Gary Moore, Neil Murray, Lemmy, ovviamente, Phil Lynott, Scott Gorham, Michael Schenker ecc. Era il locale dove le band andavano per party privati dopo il loro show. Era molto discreto, probabilmente c’era un giro di droga da stendere un esercito, ma non ho mai visto nulla di strano.

L’impressione che si aveva allora era che il giro fosse abbastanza piccolo. Ci si conosceva tutti e non c’era quel rapporto sospettoso e spesso conflittuale che c’è tra stampa ed artisti oggigiorno. Non era improbabile finire a casa di Phil Lynott a Richmond o di Bruce Dickinson a Chiswick a farsi una birra. Talvolta gli artisti finivano a casa di giornalisti come quando la review editor di Sounds che se la faceva con Stephen Archer degli Stampede invitò la band e vari amici a casa sua: dormii su un divano. Archer, se non ricordo male, suonò la chitarra nei Grand Slam di Phil Lynott. In un giro così “chiuso” si sapeva tutto di tutti. La storia di una mia amica che si fece Ross The Boss e Joey Di Maio nei cessi di un club dove si teneva il party dopo lo show fu oggetto di conversazione per mesi.


Nella foto: Fast Eddie dei Motorhead al Palasport di Bologna nel 1980, il primo show fotografato da PG.

Quali erano le tua band preferite all’epoca?

Thin Lizzy, Mountain, Black Sabbath, Samson, Judas Priest Iron Maiden ecc. Collezionavo dischi era difficile decidere qual’erano i miei favoriti. Chiaro che conoscendo le band se mi stavano simpatici ed erano amici finivo per apprezzarne di più la musica.

Come vivesti la NWOIHM della nostra amata penisola?

Male. Ne sapevo veramente poco. Conoscevo a malapena i Vanadium. Lavorai con gli Skanners di Bolzano sulla copertina di un loro album, ma null’altro.

Finora l’ho tralasciato ma i metallari ti hanno sempre conosciuto anche come fotografo, come hai iniziato?

Come detto lavorando per il Gazzettino di Venezia. Ho girato parecchio negli anni Ottanta e le cose me le sono andate a cercare perché c’erano le opportunità. Mi facevo 2-3 settimane in giro per gli States con base a Los Angeles. Talvolta erano dei veri tour de force. Facevo 15-20 band a botta e cercavo di vendere le foto e gli articoli, soprattutto fuori dall’Italia. Certe cose non hanno funzionato perché le band non sono andate da nessuna parte (mi vengono in mente Tomorrow’s Child e Kick Tracee), ma altre erano stuzzicanti, tipo Damn Yankees in studio o Metallica a Duluth in Minnesota all’inizio del tour per il Black album.

Nel 1983 collaborasti anche per una rivista più “leggera” e musicalmente generalista come CIAO 2001. Come avvenne quel passaggio?

Mi irretirono dicendo che le mie foto erano belle e che gli ricordavo Armando Gallo. Era l’era pre-Puzzo con PierGiuseppe Caporale alle redini di Ciao 2001. Io mi interessavo anche di altra musica seguendo gruppi come King Crimson, Genesis ELP, Pink Floyd ecc. Ammetto di aver dormito durante lo show dei Level42 all’Hammersmith e di essermi addormentato per un po’ prima dello show di Alison Moyet al Dominion. Dovresti puntarmi una pistola alla tempia per convincermi ad ascoltare quelle band oggigiorno.

Sempre in quel lasso di tempo riesci addirittura a inserirti dentro Kerrang! come freelance. Che ricordo hai di quell’esperienza?

Non tanto bella. Dante Bonutto era debole. Mi chiedeva di andare a fare un concerto e poi scoprivo che allo stesso show c’erano George Bodnar, Ross Halfin e Ray Palmer che facevano tutti le foto per Kerrang! Io e Ross usavamo lo stesso laboratorio fotografico e una volta andai a ritirare le mie foto dei Quiet Riot. Lui mi chiese per chi le avevo fatte, io risposi Kerrang! e lui si incazzò come una bestia. Telefonò inviperito, in mia presenza, a Dante che immediatamente lo rassicurò e alla fine usarono le sue foto. Fu umiliante. L’unico ricordo carino è che all’uscita di Reading 83 fotografai un tipo addormentato su un muretto. La foto fu usata nella recensione del Festival con il sottotitolo View From The Bar che successivamente diventò il nome delle rubbrica di pettegolezzi. Mi piacque l’idea di aver ispirato con una mia foto una sezione della rivista che rimase tale per anni.

Immagino tu abbia conosciuto i vari Geoff Barton, Malcolm Dome, Dante Bonutto. Li puoi descrivere uno a uno?

Il primo lo conoscevo a Sounds, non a Kerrang! Normale rapporto di lavoro, non particolarmente caldo. Malcolm Dome è uno stranissimo individuo che tuttora incrocio ai concerti. Nessuno sa come vive. Nessuno è mai andato a casa sua. Se deve incontrare la gente li incontra fuori, all’angolo. Chissà perché. Dante lo vedo ancora oggi. È una persona che ha le mani in pasta in mille cose. Non è cambiato: dice le cose così per dire, perché non ha il coraggio di dirti di no si dichiara interessato a cose di cui effettivamente non gli interessa nulla. Non mi fidavo allora, non mi fido oggi.

PG, adesso non ricordo… non fosti coinvolto nel primo METAL SHOCK? Come mai?

Io ero il nemico. Lavoravo per Ciao 2001, per Puzzo… non potevo lavorare per l’altra parte. Mi doveva troppi soldi. Nessuno mi ha mai chiesto di cambiare bandiera e in tutta sincerità non so che cosa avrei fatto, me lo avessero chiesto.

Se non erro ti sparasti ben due tour completi negli Usa a fianco di Ronnie James Dio, precisamente nel 1984 e nel 1985. Ne avrai da raccontare…

No, completi non proprio. 2 settimane a tour, una decina di show. Erano show in cui succedevano mille cose, e farne di più non era necessario. Il primo fu fantastico. Atlanta; New Orleans; Dallas; Oklahoma City; Houston; San Antonio; Albuquerque. Era come essere nel paese dei balocchi, perché non ero mai stato negli USA e viaggiare con la band era fantastico. Andavamo a fare shopping, mangiavamo assieme, andavamo nei club. Respirare l’aria del backstage senza che nessuno ti rompa le scatole era gratificante. Storie? Due storie di donne se vuoi: Oklahoma City dopo lo show: al bar con la band ci sono una cifra di ragazze. Sono tutte intappate che sembrano maggiorenni. Claude Schnell, il tastierista, ne porta una in camera.

Nella notte si ha la seguente telefonata:
TourManager – Claude?
CS – Si?
TM – Come si chiama la ragazza che è nel tuo letto?
CS – Sandra, perché?
TM – In reception c’è il sergente XXX che la sta cercando dopo che i suoi genitori ne hanno denunciato il mancato ritorno a casa. Ha 14 anni e tu sai che pena c’è per chi fa sesso coi minori in questo stato?
Fortunatamente Claude Schnell era al primo piano e il salto dalla finestra non causò danni fisici alla ragazza.

Houston: Jimmy Bain “intorta” una ragazza della security che guardava il passaggio tra le sedie davanti alla sua posizione sul palco. Tutto questo durante lo show. Jimmy se ne faceva due a sera, per la cronaca. Quello che non riusciva a gestire veniva passato ad altri membri della band o in seconda battuta ai rodies. Il “contatto” viene definito backstage dopo lo show e questa, sposata e madre di due figli finisce in tour con noi. Si fa Oklahoma City a Dallas. Senonché, dopo lo show di Dallas, Jimmy si addormenta dopo aver bevuto la solita bottiglia di Jim Beam sul divano del camerino e viene portato a braccia in camera sua senza che si svegli nemmeno per lavarsi i denti. La tipa trova “alternative” per la notte. Il mattino successivo l’appuntamento è alle 10 al tour bus. La ragazza è li a salutarlo perché da Dallas se ne torna a casa a Houston. Un bacino di addio e lui sale sul bus dicendo: Chi si è scopato la mia donna ieri sera??? Tutti sapevano che il colpevole era l’ingegnere del suono, ma nessuno ha detto nulla.

Nel 1986 fai parte di H/M, la prima rivista interamente dedicata al metallo uscita in Italia. Quali furono i presupposti per tentare una simile avventura nella Nostra amata Italia?

Era legato a Ciao 2001 e fu una mossa logica. Mi interessavo di heavy metal ed ero nel mio brodo.


Nella foto: Ozzy Osbourne come comparve sul primo numero di H/M (1986)

C’è stato un momento nel quale hai anche lavorato per Metal Hammer UK. Quali sono state le maggiori differenze che hai riscontrato fra fare giornalismo HM in Inghilterra e in Italia?

Ci sono tappeti rossi e ponti d’oro ovunque. Se lavori per Kerrang! e Metal Hammer le etichette inglesi spendono e ti trattano coi guanti di velluto. Rapporti preferenziali e viaggi a non finire. I soldi li trovano sempre perché hanno bisogno di te. Non so come è oggi, ma non mi risulta che abbiano stretto la cinghia con certa stampa, anche se sono tutti più attenti a come spendono e con che band.

Hai partecipato a diversi Festival negli Stati Uniti, come nel caso del Monsters of Rock a Miami oltre al tour Slayer/Machine Head. Che differenza c’è fra il pubblico europeo e quello statunitense?

Il Monsters of Rock a Miami fu una esperienza interessante. Ero nell’albergo Sofitel dove stavano tutte le band. La sera prima dello show con i Metallica andammo in uno strip club a Pompano Beach (il nome mi fa ridere ancore oggi…) Rivedo nella mia memoria un culo, la vista di dietro di una tipa, il cui davanti era osservato da Jason Newsted; ricordo che Lars fu buttato fuori dalla security perché toccò le tette di una ragazza, cosa tassativamente proibita. Alla fine, quando ce ne andammo, facemmo la conta e ne mancava uno, un fotografo americano che fu abbandonato al suo destino. Era allo show il giorno dopo e ancora oggi mi chiedo come tornò a Miami.

Lo show era incredibile: Van Halen, Scorpions, Metallica, Dokken, Kingdom Come al Rose Bowl. Avevo tutto lo show con Metallica e dovevo fare un lavoro coi Dokken. C’era Halfin che scorrazzava a destra e a manca e, visto che diluviava, mi sono messo sul palco coi Dokken, ma avevo il pass sbagliato. Lo stage manager di Van Halen mi fece buttare fuori. Furono momenti di panico assoluto e mi salvò il tour manager dei Metallica che mi fece rientrare in qualche modo. Dovetti scusarmi profusamente e la cosa rientrò, ma che paura essere fuori dallo stadio senza pass a metà pomeriggio dopo aver fatto tutta quella strada per andare allo show…
Slayer, Machine Head e Biohazard fu più tranquillo: West Palm Beach e un altro show più giù verso Miami, Mi ricordo che giocavano a Football americano nel backstage. La Florida era un covo di metallari. C’erano stazioni radio rock ovunque e girare in auto era un passatempo.


Nella foto: Metallica al MOR di Miami, quando PG fu buttato fuori dallo stage manager dei Van Halen…

Che personaggi sono gli Slayer fuori dai riflettori?

Dei bonaccioni. Il solo fatto che Tom abbia un ranch in Texas e che faccia il mandriano la dice lunga su come sia diverso dall’artista indemoniato che sentiamo sui dischi.

Nel 1988 collabori anche con RAW Magazine… quali le differenze rispetto alle altre testate che avevi frequentato?

Mah, hanno messo in copertina i Wildhearts una cifra di volte anche se hanno venduto tre dischi in croce il che la dice tutta sulle scelte editoriali. Era inizialmente indipendente, poi fu comprato da EMAP e gli uffici erano a fianco a quelli di Kerrang!, per cui era un po’ il fratello povero del settimanale. Anche qui tanti viaggi e tanti tappeti rossi dalle etichette, ma anche tanta frustrazione, perché i lavori grossi li beccava sempre Tony Mottram. No comment…

L’avventura di H/M finisce all’inizio degli anni Novanta, che ricordi hai di quei momenti?

Dal punto grafico la rivista era in una situazione di stasi. Mi ricordo che gli ultimi numeri erano bruttini da vedere perché Puzzo non ci metteva dentro il grano per migliorarlo. Tirava una brutta aria e ci ho rimesso un sacco di soldi, poi mi ruga che l’archivio fotografico si sia dileguato.

In Italia, post H/M, parte Thunder, una rivista di “all star writers”… come mai non funziona? Di chi fu l’idea di un simile progetto?

L’idea fu di Roberto Gandolfi che ci mise molto impegno, ma che fu fregato da vari personaggi poco affidabili. Graficamente era più bello di HM, ma non ci voleva tanto. Non so perché non funzionò. Forse Metal Shock era solido e rimpiazzare HM non era facile. Io ero a Londra e i retroscena del fallimento mi sono un po’ oscuri. La copertina coi Paradise Lost era carina e certi CD erano interessanti come quello dei Live.

Per dieci anni sei impegnato anche sul fronte televisivo, oltre che giornalistico, con MTV Europe, vai avanti tu PG…

Non ero in televisione. Ero il fotografo di MTV, per cui quando c’era Mosters of Rock a Donington lavoravo con Vanessa Warwick backstage ad esempio. Ho fatto 10 anni di studio, party di natale, lavori di traduzione per artisti italiani che non sapevano l’inglese, vedi Zucchero Fornaciari.

Sei stato a stretto contatto di mega-band come Van Halen e Aerosmith, hai qualche aneddoto simpatico da raccontare?

Mah, con Van Halen il contatto era il tour manager. Aveva lavorato con Dio e mi dava carta bianca, ma in tutta sincerità ho conosciuto solo Sammy Hagar e Michael Anthony. Con Eddie non ho mai parlato. Steven Tyler e soci sono sempre stati più abbordabili, poi con Lui ho fatto interviste e fotosession. Non ho grandi aneddoti perché non ci ho passato tempo assieme fuori da quella che è la routine di lavoro, ma quando suonarono a Milano ad Assago (tour di Pump o quello dopo, non sono sicuro) mi ricordo che Steven mi chiese di fare tutto lo show e salire sul palco. La cosa mi solleticava soprattutto visto che quando arrivai ai cancelli il mio nome non era nemmeno sulla lista, ma fa nulla. Così finisco sul palco verso la fine dello show.

Mi tengo defilato dietro agli amplificatori perché non sono in tour con loro. Durante un assolo Steven si gira e mi vede e ne segue la seguente conversazione: “What are you doing there?”. “I’m on stage like you asked” “That’s not the stage, this is the fucking stage”. Mi prende per il colletto e mi porta sul palco. Mi sono fatto i bis seguendo i vari membri con il fish eye o seduto sui monitor tra band a pubblico con 10.000 persone che urlano scemo-scemo. Alla fine mi sembrava di essere Giuda che rinnega tre volte, ma amplificato. Ma eri tu sul palco? – mi ha chiesto una marea di persone – mi fai andare backstage? No, scusa, ti sbagli non ero io…

Mai avuto scazzi con qualche band?

Metal: Tony Iommi. Non metal Liam Gallagher. Tralascio Liam perché in questa sede di lui non ci curiamo. Con Tony ci fu una questione di soldi. Feci le foto a un tour dei Sabbath, ma per problemi di manager mi tirò il pacco e non mi pagò. Visto che non navigavo nell’oro ho cercato di parare il danno economico e diedi una mia intervista con lui (vedi H/M storia di copertina) a un tipo che ne fece un picture disc. Non avevo obblighi con nessuno, ero libero di farlo. Lui lo scopre si incazza con me perché non sa con chi altro incazzarsi. Io non pubblico dischi e non ho fatto la foto incriminata finita sul vinile, gli stava sull’anima che avessero usato una foto di lui con Gillan, ma l’intervista sul picture disc è mia e sa dove abito. Mi telefona e mi fa una piazzata ignorando che il primo a essere in debito è lui. Ci siamo scritti lettere, la cosa è stata discussa a fondo negli anni e per me l’incidente è chiuso, ma per lui no! Ancora oggi, 20 anni dopo, mi considera persona non grata e se i nostri sentieri si incrociano – vedi Gods Of Metal -, se può e se non ci perde niente, mi mette i bastoni tra le ruote. A volte, raramente, mi ha stretto la mano e ha fatto come se niente fosse successo, altre volte ha palesemente fatto di tutto per danneggiarmi. Tutti quelli che sanno i dettagli (vedi Wendy e Ronnie Dio) dicono che è pazzo e che dovrebbe scendere dal pero. Lo spero e cercherò di non vederlo mai più.


Nella foto: Piergiorgio Brunelli oggi fotografato dal figlio Luca di tre anni… buon sangue non mente! 

Qual è il musicista più stro**o che hai intervistato?

Dave Mustaine. Non credo che ci sia nessuno che se la mena come lui.

Come definiresti la scena heavy metal attuale in Inghilterra? E le varie testate tipo Kerrang! e Terrorizer?

Sono due riviste molto diverse. Kerrang! è un settimanale e cade nelle trappole di chi deve riempire per forza una rivista così frequente: da per spettacolari ed imperdibili gruppi che francamente sono mediocri. Poi ignora ogni cosa che ha preceduto i Nirvana come se fossero cose vecchie nonostante la storia del rock ha una influenza innegabile sulla maggioranza delle band di oggi. Dovrebbe essere un po’ più equilibrato senza diventare Classic Rock. Terrorizer è più libero dalle convenzioni, ma ammetto di non averlo letto da alcuni mesi per cui non mi sento di commentare in dettaglio

Di cosa ti occupi oggi?

Di tutto un po’. Nel 2007 ho fatto session con Arctic Monkeys, Foo Fighters, Slayer, Bullet For My Valentine ma anche anche Natasha Bedingfield ed Editors. Questo mese faccio Flyleaf, ma anche Bryan Adams (oggi nda). Lavoro per una rivista giapponese di musica che varia molto nella sua offerta. Poi per loro faccio Cannes ed il festival del cinema di Venezia dove mi sento così paparazzo da farmi schifo da solo. Poi lavoro per Live Nation e per loro faccio i festival di giugno, Download, Hyde Park Calling e Wireless. Backstage con qualche capatina davanti o sul palco dipende dalle bands. Ho ricominciato a lavorare sul metal con Metal Maniac, ma ancora in modo sporadico.

Hai qualche rimpianto o rifaresti tutto come prima?

Sì e no. Di rimpianti ce n’è pieno il passato. Di essere venuto ad abitare a Londra però non mi sono mai pentito. Mi sono creato questo spazio a mia dimensione e faccio quello che posso con l’handicap costante di non essere inglese per cui c’è sempre qualcuno che non mi dà disponibilità per partito preso. Potevo fare più scatti di questo o quello, potevo spingere di più per avere più lavoro con certe band o evitare che vari personaggi nel corso degli anni mi fregassero le foto. Molta roba degli anni Ottanta è andata persa per una ragione o per un’altra. Purtroppo il digitale è arrivato tardi. Quello che ho di quei tempi ha molto più valore proprio perché non c’era la nuova tecnologia e come io ho perso roba lo stesso è successo a tanti altri. È anche una questione di fortuna e se debbo essere sincero forse nel complesso sono in pari tra sfiga e fortuna. Sono contento di aver visto com’erano le cose prima che tutto cambiasse, che la prassi dei primi tre pezzi per far foto diventasse normalità, prima che i fotografi diventassero persone poco gradite e trattate male da tutti. Riesco comunque ancora a divertirmi come una volta, ogni tanto.

Ha mai vacillato la tua fede per l’heavy metal?

No, non mi piaceva perché era di moda o perché dovevo entrare in un certo mondo e adeguarmi come un camaleonte, per cui non mi è passata come un’ondata di influenza che speri non ritorni per un po’. Forse sono più selettivo, ma mentre i Cd di musica pop vengono silurati dopo che non mi servono più, il metallo che non sento più va in archivio, non viene eliminato mai. Per la cronaca, ho ancora armadi pieni di vinile.

Cosa pensi delle webzine HM e del futuro della carta stampata?

Hanno entrambe vantaggi e svantaggi. Spero che riescano a coesistere perché sono necessarie tutte e due per il movimento.

Grazie PG per la disponibilità.

Grazie a te.

Stefano “Steven Rich” Ricetti