Progressive

Live Report: Dream Theater @ Palasport, Roma, 11/2/2020

Di Francesco Sgrò - 15 Febbraio 2020 - 10:37
Live Report: Dream Theater @ Palasport, Roma, 11/2/2020

 

Prologo: 1999-2000

 

Il 1999 è un anno fondamentale nella carriera dei Dream Theater. La storia discografica del gruppo era ufficialmente iniziata nel 1989, con l’uscita di quel primo coraggioso vagito, intitolato “When Dream And Day Unite” (unico album a vedere la presenza di Charlie Dominici alla voce). Seppur di pregevole fattura, tuttavia il debutto dei progster americani non era pienamente riuscito a lasciare un’impronta indelebile nel cuore del panorama musicale di quell’epoca.

Per il gruppo di John Petrucci una prima importante svolta arriva nel 1991, con l’ingresso in formazione del talentuoso cantante James LaBrie, mentre la consacrazione definitiva giunge con fierezza nel 1992, quando i nostri danno alle stampe il loro secondo album, intitolato “Images And Words”.

A questo punto il successo arriva e, come un mare in tempesta, travolge la band che, da quel momento, diverrà una delle realtà più influenti della scena progressive americana e mondiale.

 

Dopo la pubblicazione del terzo album (“Awake”, 1994), un improvviso cambio di line-up alle tastiere (il tastierista Kevin Moore viene infatti sostituito dal bravo Derek Sherinian), non influisce sulla sognante creatività del quintetto americano che, in verità, continua a sfornare dischi di prim’ordine come il mini “A Change Of Seasons”, del 1995 (il quale prende il titolo da una lunghissima suite, cui il gruppo stava lavorando da prima del 1992) e il più atmosferico “Falling Into Infinity”, uscito nel 1997.

Dopo aver pubblicato il doppio album dal vivo “Once In A Livetime” (1998), anche Sherinian molla le redini e, nel 1999, viene sostituito dal virtuoso tastierista Jordan Rudess (musicista poliedrico, noto per la sua collaborazione con il chitarrista Vinnie Moore, alla fine degli anni ’80).

 

Con questa nuova formazione, il gruppo a stelle e strisce realizza quello che, ancora oggi, è ricordato (insieme ad “Images And Words”) come il disco più importante della loro storia: fin dal momento della sua uscita, “Metropolis Pt. II – Scenes From A Memory”, infatti, ha contribuito in modo eccezionale a rafforzare la passione del pubblico nei confronti della musica del gruppo, che, per promuovere il disco, tra il 1999 ed il 2000, intraprende un mastodontico tour che vede la riproposizione dal vivo dell’intero platter con, in aggiunta, una selezione dei maggiori successi realizzati fino a quel momento.

Il risultato finale è un completo successo, rimasto scolpito nella mente e nel cuore dei fans di tutto il mondo anche grazie al triplo disco nonché dvd “Live Scenes from New York”, uscito nella fatidica data dell’11 settembre 2001.

 

 

Presente: 2019-2020

Seppur costellata da luci, ombre ed abbandoni (lo storico batterista/fondatore Mike Portnoy ha lasciato la band nel 2010, sostituito poi da Mike Mangini), dall’inizio del nuovo millennio l’attività dei Dream Theater non si è mai fermata.

Ad oggi, nel 2020, i nostri hanno pubblicato complessivamente ben quattordici album in studio: l’ultimo tassello discografico, “Distance Over Time”, è uscito nel febbraio del 2019 e, come di consueto, è stato accompagnato da un gigantesco tour mondiale, oggi ancora pienamente in corso.

Restando saldamente ancorati ai propri tempi d’oro, in questa nuova parte del “Distance Over Time World Tour”, i Dream Theater hanno colto l’occasione per celebrare i vent’anni esatti di “Metropolis Pt. II – Scenes From A Memory”, suonando per intero quel fantastico album, che, ormai da due decadi, non smette di appassionare ed emozionare.

 

 

Dopo una serie di date in Europa, nel mese di febbraio questo imponente giro di concerti è sbarcato anche in Italia, con una data al Palasport di Roma, location che, sebbene caratterizzato da un’acustica totalmente inadatta ad ospitare un evento musicale simile, ha riportato comunque John Petrucci e soci di nuovo nella Capitale, dopo tre lunghi anni di assenza.

Sono dunque le 17:30 di martedì 11 febbraio, quando, con una puntualità svizzera (abbastanza inconsueta per gli spettacoli organizzati in Italia), le porte del Palasport di Roma vengono ufficialmente aperte, per permettere al pubblico di iniziare a sistemarsi nei rispettivi spazi, per quello che si preannuncia uno show assolutamente memorabile.

Alle spalle della batteria, un grande schermo illuminato domina il grande palco perfettamente allestito e, con altrettanta puntualità, alle 20:30 in punto, il gruppo fa il proprio ingresso sul suolo italico, accompagnato dalle potenti note di Untethered Angel, opener del nuovo album.

Fin dai primi istanti, la band appare determinata a scuotere nel profondo il pubblico italiano, ma, in verità, lo spettacolo stenta a decollare, penalizzato dalla pessima resa sonora della location romana, la quale rende impastata e confusa la prova dei cinque musicisti, che, in ogni caso, riescono a colpire l’attenzione dei presenti, strappando da subito una pioggia di applausi e consensi alla platea gremita.

 

Subito dopo questo primo riferimento al (non esaltante) Distance Over Time, i nostri riportano le lancette del tempo all’ormai lontano 2010, proseguendo la setlist con la lunghissima A Nightmare To Remember: anche in questa occasione, è triste notare come una pessima acustica non consenta la buona riuscita di un brano che, altrimenti, avrebbe potuto essere maggiormente godibile.

Il gruppo è tecnicamente in forma, ma, come già detto, la bravura tecnica è offuscata da un suono caotico e alla lunga fastidioso: la seguente Fall Into The Light non riesce ancora a centrare il bersaglio, mentre una ventata d’aria fresca arriva ad allietare il pubblico con l’esecuzione della piacevole Barstool Warrior, la quale (a parere di chi scrive), rappresenta uno dei pochi punti di forza della nuova fatica discografica del gruppo americano.

Successivamente si resta su buoni livelli qualitativi con la lunga e articolata In The Presence Of Enemies Pt. I, la quale riporta di nuovo alla memoria gli (ultimi) anni di attività con Mike Portnoy alla batteria. Ancora, poi, un omaggio al nuovo album è scandito dalla poco memorabile Pale Blue Dot”, la quale si pone anche a sigillo di una prima parte di spettacolo in realtà poco incisiva e noiosa.

Tuttavia, si sa, il vero punto focale di questo tour, è la celebrazione dei vent’anni trascorsi dall’uscita di “Scenes From A Memory” ed è dunque da questo momento, che la serata vera e propria sta per cominciare…

Dopo qualche minuto di pausa e dopo un breve check dei volumi sul palco, le luci si spengono e la magia ha inizio: l’inconfondibile atmosfera insita nei suoni, nelle voci e nelle note di Regression, riportano la memoria a quel magico 1999, risvegliando l’intera platea dal grigio torpore in cui era tenuta prigioniera nella prima parte dello spettacolo.

 

La chitarra (acustica) di John Petrucci e la voce di James LaBrie incantano il pubblico romano, che, senza esitazione, canta estasiato ogni singola nota del brano; come da programma, è la volta poi della strepitosa Overture 1928: l’atmosfera che domina ora il palazzetto è così frizzante e carica di emozioni che perfino l’acustica (comunque sottotono) della location sembra essere maggiormente definita, regalando così il primo momento veramente memorabile della serata. Nell’aria l’adrenalina è alle stelle e “Strange Deja-Vu incede con maestosa eleganza, generando un turbine di passioni che non si placa nemmeno con il meraviglioso binomio composto dalla sognante Through My Wordse dall’oscura Fatal Tragedy”.

La componente noir che caratterizza la splendida storia raccontata nell’album, esplode poi definitivamente nella lunga e meravigliosa Beyond This Life”, eseguita in modo perfetto e supportata magicamente dall’energia del pubblico presente, incantato dalla dolce e rilassata atmosfera della delicata e acustica Through Her Eyes”, con Jordan Rudess, James LaBrie, John Myung e John Petrucci a dominare la situazione.

La commozione dei presenti si materializza in una pioggia incessante di lacrime e applausi, mentre Home torna a fendere l’aria a colpi di progressive metal potente, pennellato con tocchi di estrema maestria da una band che ancora non finisce di stupire nell’esecuzione della frenetica e strumentale The Dance Of Eternity, la quale è tuttora ritenuta come una delle migliori composizioni del combo a stelle e strisce.

Un sottile velo di amore e drammatica tristezza scivola, poi, leggero sulle note di One Last Time, meravigliosa nel suo teatrale prosieguo che culmina nella splendida e toccante The Spirit Carries On, che genera nuovamente un vortice di emozioni, prima di far calare il sipario su questa bellissima storia, attraverso le note della lunga e articolata Finally Free”.

Con “Finally Free” si conclude questo fantastico viaggio di ritorno al 1999 e, dopo qualche istante di pausa, i Dream Theater si preparano a salutare il pubblico capitolino, tornando al presente con l’esecuzione di At Wit’s End, che, purtroppo, non riesce a restare sullo stesso livello dei brani precedenti, concludendo in modo un po’ anonimo un concerto solo in parte (assai) emozionante e memorabile.

 

Setlist

Act I

1 Untethered Angel
2 A Nightmare To Remember
3 Fall Into The Light
4 Barstool Warrior
5 In The Presence Of Enemies Pt. I
6 Pale Blue Dot

Act II (Metropolis Pt. II – Scenes From A Memory)

7 Regression
8 Overture 1928
9 Strange Deja – Vu
10 Through My Words
11 Fatal Tragedy
12 Beyond This Life
13 Through Her Eyes
14 Home
15 The Dance Of Eternity
16 One Last Time
17 The Spirit Carries On
18 Finally Free

Encore

19 At Wit’s End