Recensione: Artifex

Di Paolo Fagioli D'Antona - 25 Aprile 2025 - 11:38
Artifex
Etichetta: Limb Music
Genere: Power  Symphonic 
Anno: 2025
Nazione:
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80

Di ritorno in pompa magna dopo i sei lunghi anni passati dal precedente album Origine,  i riminesi Ancient Bards si sono affermati negli ormai quindici anni di carriera come una delle power metal band più di talento nel nostro paese, anche grazie ai superlativi primi due lavori Alliance Of The Kings del 2010 e Soulless Child del 2011, due piccole gemme di power metal sinfonico che hanno fatto molto parlare ai tempi della release.

La band del mastermind e compositore Daniele Mazza nell’ultimo decennio non è stata di certo un gruppo prolifico a livello di uscite, facendoci soffrire per ogni singolo parto discografico, ma con questo nuovo Artifex si sente quanta ambizione e quanta dedizione la band abbia riversato nella sua nuova creatura nel corso degli ultimi sei lunghi anni. Artifex può essere visto come un ulteriore prosecuzione sia a livello musicale che a livello tematico del precedente disco Origine, riprendendo i temi della Black Crystal Sword Saga che ha attraversato tutti e cinque i full-lenght della band nostrana, ma soprattutto, offrendoci un disco che ancor più del suo predecessore traspare cinematico, sinfonico, pomposo, dove la straordinaria vocalist Sara Squadrani viene accompagnata da un coro di quarantadue elementi e sorretta da un muro sinfonico di incredibile spessore.

Un platter che ci regala tutti i tipici trademark che ci potremmo aspettare da un concept album, come un intro con sezione narrata di modo da far avventurare l’ascoltatore in questo nuovo capitolo della saga che prosegue direttamente da dove Origine ci aveva lasciato, dei brani che sfumano l’uno dentro l’altro (almeno per le composizioni da Mystic Echoes in poi )e altri ancora che sembrano fungere più da preludio ad altre composizioni, con elementi musicali che vengono ripresi all’interno dello stesso disco, ma che richiamano anche dischi precedenti della band. Interessante il fatto che la band abbia voluto utilizzare maggiormente il growl di Simone Bertozzi in questo album, una caratteristica che era stata introdotta in maniera sostanziale già nel precedente Origine (anche se la band ha utilizzato questo stile vocale anche in precedenza ad Origine, in maniera molto sporadica come nel celebre brano Through My Veins), per un disco che appare più sinfonico e bombastico ma che allo stesso tempo non disdegna sfuriate in blast-beat e parti cavernose in growl. In tutto questo la sezione solistica che aveva fatto faville specialmente nei primi due album degli Ancient Bards in questo disco è stata un pochino sacrificata, anche se gli assoli ci sono e fanno la loro parte quando servono.

Se in questo lavoro quindi, le sfuriate power sono un tantino messe da parte rispetto al solito a favore di un sound più sinfonico, i primi pezzi dell’album ci riportano quegli Ancient Bards che abbiamo imparato ad amare. A seguito del pezzo di introduzione difatti, Prima Nox ci regala una band in splendida forma, per uno dei pezzi da novanta di questo disco, tirato, melodico e sinfonico con una Sara Squadrani sugli scudi che continua ad essere la ciliegina sulla torta di questo sestetto. Una vocalist straordinaria con una timbrica cristallina e potente che alla fine di questo brano con quel ”I’m ready for my prima nox!” scandito in maniera poderosa, ci mostra le sue incredibili doti canore con un acuto memorabile protratto per diversi secondi che ci fomenta ulteriormente in vista del proseguito del disco. Prima Nox è un brano che coadiuva cori bombastici, sinfonie grandiose alla Nightwish, chitarre tirate, growl, sfuriate in blast-beat, persino uno di quei classici break in pieno stile Ancient Bards dove viene messo in risalto il basso di Martino Garattoni (in questo momento anche bassista dei Ne Obliviscaris), senza contare uno stacco melodico quasi in pieno stile colonna sonora Disneyiana.

The Vessel dona un “twist” più frizzante al disco anche grazie al contributo vocale di Francesco Cavalieri dei Wind Rose, uno dei vari guest di questo album assieme a Mark Jansen degli Epica, il chitarrista Simone Mularoni dei DGM e il violinista dei Winterage, Gabriele Boschi. L’apertura di The Vessel ci scaraventa dentro una colonna sonora di un film di Hollywood grazie alle sue maestose sinfonie, mentre la voce di Sara ci immerge in un mood più riflessivo e malinconico. Un contrasto notevole con la voce più “scanzonata” di Francesco nel chorus, per un brano costruito su dei mood contrastanti, coadiuvato da un assolo di chitarra melodico.

The Empire Of Black Death conclude questa prima parte di disco spumeggiante e dalle caratteristiche più “metal”, con un brano che è il più debordante del lotto, tra blast-beat, growl e cori iper pomposi, per un pezzo che ci ha ricordato a tratti qualcosa che potrebbe essere stato scritto dagli Epica. Particolare e d’impatto anche il mini-breakdown nella seconda metà della composizione da cui sfocia un bell’assolo di chitarra.

I prossimi due pezzi offrono una sezione dell’album che spezza completamente il vibe dei primi tre brani, partendo con Unending, già uscito come singolo e che ci regala una sentita ballad orchestrale dove Sara mostra ancora una volta le sue incredibili doti vocali per un pezzo che pur seguendo la trama della Saga sembra allo stesso tempo avere una sfumatura più personale, riflettendo sull’impatto della maternità e sullo stravolgimento emotivo portato da questo evento. Un pezzo che riesce a toccare le stesse corde emotive di un brano come In My Arms, amatissimo dai fan.

Ministers Of Light è forse il brano più particolare mai scritto dagli Ancient Bards, sorretto da un approccio minimale nel suo incipit che poi sfocia in una sezione sinfonica con tanto di parti sussurrate in italiano da parte di Sara, uno stacco dal retrogusto più industrial, per una combo di brani che di metal non hanno quasi nulla e che mostrano il lato eclettico del disco.

Si torna verso territori familiari con Proximity che può essere visto come un interludio o allo stesso tempo una opener che introduce le melodie del brano seguente Soulbound Symphony, un pezzo classicamente Ancient Bards che non per nulla è stato giustamente scelto come primo singolo del disco in quanto rappresenta al meglio il trademark del sound della band, per uno dei brani più riusciti del platter per quanto ci riguarda. Le sinfonie e le orchestrazioni utilizzate in Proximity sono massicce e grandiose per un disco che offre una componente cinematica davvero mai vista a questo livello in un disco degli Ancient Bards. Talvolta sembra di essere immersi nel bel mezzo di una colonna sonora di John Williams, altre volte si hanno dei richiami più in linea con Final Fantasy ed altre volte ancora con la Disney.

In tutto questo layering sonoro e stratificazione del sound, inevitabilmente spesso si va a perdere il basso di Martino, musicista di rilevanza importantissima per molti album degli Ancient Bards che in questo disco è un po’ recluso nelle retrovie, offrendogli però dei brevi spunti all’interno del disco per brillare e dove il suo basso guadagna nuovamente importanza e preponderanza all’interno del mix.

My Blood And Blade ci restituisce l’impatto e quel vibe più dark ed enigmatico, con dei riffing granitici e delle sezioni in growl cavernose, mentre in sottofondo possiamo udire dei cori ripresi dall’introduzione di Impious Dystopia (opener del precedente disco Origine), un gradito richiamo al passato.

 

Mystic Echoes inaugura una mini-suite composta dagli ultimi quattro pezzi del disco, riproponendoci quel sound hollywoodiano nel suo incipit, per una sezione orchestrale che si prolunga proprio come se fosse una vera e propria introduzione a questa “mini-saga nella saga”. Mystic Echoes dunque è una composizione a due facce, la prima orchestrale, la seconda che riabbraccia quel sound metal sinfonico più tradizionale, per una sterzata power verso la fine del brano di gran impatto.

Under The Shadow dopo il suo intro pulsante ci immerge in un’atmosfera inquietante, onirica e avvolgente, per poi esplodere in una sezione con botta e risposta tra parti in growl e le parti in clean di Sara, la stessa Sara che nel finale si rende protagonista di una delle sue parti vocali più appassionanti dell’album con quel “and led me out here with no future” scandito in maniera emozionale e dai cui parte una delle sezioni solistiche meglio riuscite dell’album.

La dolce Sea Of Solitude ci culla verso la fine del disco, per un pezzo delicato ed emozionale che sfocia direttamente nell’outro, con la classica sezione narrata per chiudere questo capitolo della storia. Sea Of Scolitide ci è piaciuta quanto se non più di Unending, poco importa se non è stata scelta come singolo del disco. Da brivido il finale con tanto di cori.

In conclusione Artifex si rivela essere un concept album ambizioso, sicuramente il più ambizioso e grandioso della carriera degli Ancient Bards. Un disco dove la componente sinfonica e cinematica viene messa in risalto sacrificando in parte, inevitabilmente, le caratteristiche più power metal della band. Qualcuno potrebbe storcere il naso per questa scelta, preferendo gli Ancient Bards più tirati e virtuosi degli esordi, ma a livello di produzione il risultato è ineccepibile, per un disco pregno di composizioni coraggiose e variegate, con qualche scelta molto particolare all’interno della tracklist e quella sensazione di star ascoltando un disco composto da un unico grande viaggio sonoro, piuttosto che da un insieme di brani messi l’uno affianco all’altro. Inoltre, anche quando si ha a tratti la sensazione di assistere a qualche passaggio sottotono e qualche coro stucchevole di troppo, è la voce di Sara Squadrani a rendere comunque l’ascolto interessante grazie alla sua fantastica e trascinante timbrica vocale. Bentornati dunque, ad una delle metal band nostrane più di valore degli ultimi quindici anni!

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