Recensione: Back from Hell

Caliban: chi dice che il metalcore sia roba da smidollati? O che non sia metal? Per onestà intellettuale, è bene essere chiari sin da subito: non può affermarlo nessuno.
Il micidiale combo tedesco atterra di nuovo sulla Terra con il suo tredicesimo studio-album, “Back from Hell“. Combo che, andando avanti con gli anni, pare diventare sempre più devastante. Il sound del disco, assolutamente perfetto grazie alla grande preparazione tecnica degli attori e alla loro esperienza quasi trentennale nel campo, è letteralmente esplosivo, incontenibile. Sia quando s’ingrana l’ottava marcia per spingere sull’acceleratore al massimo delle possibilità umane (“Alte Seele“), sia quando esplodono i clamorosi ritornelli ultra-melodici che hanno contraddistinto sin dagli inizi il quintetto teutonico (“Till Death Do Us Part“).
Certo, i tempi cambiano, per cui – considerando i Caliban fra i precursori del metalcore – la scena si è infittita di una marea di act che del genere suddetto hanno fatto e fanno la loro ragione di vita. Però, quando entrano in campo i Nostri, è massacro. Non ce n’è più per nessuno, insomma.
Peraltro, come dovuto, ha preso piede anche un bel po’ di elettronica, nel loro stile. Giusto per adattarlo alle più moderne sonorità che s’incontrano nel 2025. E, in senso più generale, al metalcore; foggia musicale che ben si presta a innesti sostanzialmente industrial per via di un incedere che, se ben eseguito, sfonda le budella: lo stop’n’go. Improvvise, repentine, decelerazioni che rallentano il ritmo, sospendendolo in ordine allo scorrere del tempo, e appesantendolo quanto più possibile con l’utilizzo della strumentazione tutta, declinante verso le note più basse del rigo musicale. Così facendo, si ottiene un’annichilente deflagrazione che scuote violentemente l’aria, costretta a eliminare il surplus energetico con dirompenti onde sonore.
Rispetto a “Distopia” (2022) c’è da registrare il cambio al basso, ora nelle mani di Iain Duncan, pure bravo con le linee vocali pulite. Coadiuvando all’unisono l’ormai leggendario cantante fondatore, Andreas Dörner, formidabile nocchiero che, da sempre, guida con decisione e sicurezza, grazie alle sue terrificanti harsh vocals, la sua imbarcazione fra i flutti del mare in tempesta senza affondare. A loro si appoggiano Marc Görtz, eclettico chitarrista, pure lui fondatore del gruppo, e gli altri due compagni di avventura, accasatisi in quel Essen nei primissimi anni del terzo millennio. Il che spiega, rilevato che la band lavora assieme da oltre due decenni, la straordinaria compattezza e precisione di un suono prodotto senza il minimo difetto, coordinato con accuratezza in tutte le sue componenti primarie e non.
Una vera e propria macchia da guerra, insomma. Altro che roba da smidollati! Per rendere ancora più chiara l’idea, a questa indomita, pazzesca furia che anima i Caliban, si appoggiano i chorus, totalmente melodici ma mai né sdolcinati, né catchy, sempre supportati da una base massiccia. Un piacere per le orecchie ascoltare, per esempio, quelli di “Guilt Trip” o di “Echoes”. Quest’ultima davvero una canzone pazzesca che, nel classico modo di comporre della formazione mitteleuropea, unisce ferale aggressività a celestiale melodiosità per un altissimo livello tecnico/artistico.
E, a proposito delle canzoni, appunto, si deve semplicemente prendere atto che sono tutte, e si ribadisce tutte, allineate allo stile che le genera; osservando che non ce n’è neppure una che somigli a un riempitivo o qualcosa del genere. Brani come la title-track sono un vero sollùchero per l’apparato uditivo. Si ripete, non solo dei fan del metalcore ma anche da chi mastica il metallo estremo (“Insomnia“). Tutte le tracce, inoltre, eruttano da ogni poro la loro personalità, risultando uniche, marcate da segni caratteristici che le differenziano, e tanto, le une dalle altre.
Non resta che arrendersi alla constatazione che i Caliban siano come il buon vino: invecchiando migliorano. “Back from Hell” non dà dubbi, in ciò, lasciandosi indietro, musicalmente parlando, decine e decine di band, anche fra le migliori, che praticano il metalcore.
Nessuno come loro.
Daniele “dani66” D’Adamo