Recensione: Dominion

Dominion, il nuovo e tredicesimo studio album degli IQ, è l’ennesimo centro in una discografia che da decenni a questa parte continua a non deludere i fan. Il disco esplora tematiche profonde legate alla mortalità, al tempo e alla resilienza degli esseri umani. Il titolo non a caso è ispirato al poema “And death shall have no dominion” di Dylan Thomas, che riflette sull’inevitabilità della morte e sulla persistenza dello spirito. Il cantante Peter Nicholls ha spiegato che l’album tratta, infatti, dell’importanza di vivere pienamente il tempo che abbiamo a nostra disposizione, sottolineando che “il mondo in cui viviamo è una nostra creazione” e che “tempo e salute sono le risorse più preziose”.
Anzitutto il magnifico opener, “The Unknown Door” che ripropone tutti gli stilemi di casa IQ: la voce pulita di Peter Nicholls, i sintetizzatori a non finire, il basso potente di Tim Esau… La magia che riesce alla band inglese è quella di fermare il tempo, o meglio di comporre una suite di venti minuti e renderla estremamente scorrevole e avventurosa. Basti dire che alla fine del nono minuto c’è un cambio di atmosfera che vira quasi sul metal; a metà il brano sembra concludersi dopo un climax da manuale e invece risorge con delle chitarre acustiche e poi un organo degno degli Yes di “Close to the edge”. È questo il trademark dei nostri, suonare più potenti dei cugini Marillion, più incisivi dei Pendragon e meno prevedibili degli ultimi The flower kings.
Basterebbe l’opener per l’acquisto del platter, ma vediamo anche il resto della tracklist. “One of Us” è una ballad acustica di tre minuti, un momento di refrigerio prima di “No Dominion”. Quest’ultima si rivela una traccia cullante, con un profluvio di synth e un afflato ricco di pathos. Bellissima la cadenza di tastiere al quinto minuto.
Più che valida in penultima posizione “Far from here”, che contiene alcuni dei momenti più energici e quadrati del disco, e un bell’assolo di Michael Holmes (anche produttore dell’album, ricordiamolo). Gli otto minuti conclusivi di “Never land” non aggiungono molto al resto del platter, però mantengono in stato di grazia l’ascoltatore accompagnandolo verso un dolce epilogo.
Non c’è altro da aggiungere, se amate il progressive rock degli IQ fate vostro Dominion e preparatevi per un altro full length composto senza sbavature e longevo quanto basta.