Recensione: La Masquerade Infernale

Di Fabio Gironi - 16 Settembre 2003 - 0:00
La Masquerade Infernale
Band: Arcturus
Etichetta:
Genere:
Anno: 1997
Nazione:
Scopri tutti i dettagli dell'album
100

La musica è un arte. Il metal è un tipo di musica. Ergo, il metal è un arte. Scusate il banalissimo sillogismo, ma questa è una cosa che spesso ci si scorda.Eppure nessun critico musicale “serio” definirebbe mai nessun disco metal come arte, riuscita o meno… Allora forse dobbiamo prima capire cos’è l’arte. Cos’è l’arte? …potrei darvi le definizioni di decine di filosofi ed artisti ma probabilmente nessuna di queste riuscirebbe a convincervi. O forse si. Trovatela voi, non posso, e non voglio, darvi la risposta. Di una cosa però voglio parlare: una volta un signore ha parlato del “genio” inteso non come una persona particolarmente intelligente, ma come un facoltà che l’uomo, l’artista, possiede.E a questo “genio” gli ha dato delle caratterizzazioni.Seguirò queste per parlarvi di un album che ritengo, senza valore retorico, essere un opera d’arte.

Prima però mi sembra il caso di fare alcune (rapidissime) precisazioni di carattere “storico” nei riguardi di questa grande band. Il progetto Arcurus, originariamente conosciuto come Mortem, fù fondato in Norvegia dal pianista Steinar Sverd Johnsen (a.k.a. Sverd) e da un certo Jan Axel Von Blomberg già militante nei Mayhem con il più noto pseudonimo di Hellhammer, …insomma colui che oggi è forse il miglior batterista estremo sulla scena.La band seguì fin da subito un suo percorso particolare quando con il primo demo a nome Arcturus, My Angel 7”, esposero la loro peculiare interpretazione del Black Metal: tra i primi gruppi dei primi anni 90 norvegesi sicuramente coloro che più di tutti si spinsero verso la strada della sperimentazione, proponendo un Black “cosmico” complesso e dalle venature elettroniche. La più chiara espressione e maturazione di questo stile si ebbe nel 1994 con il primo full-lenght: Aspera Hiems Siyphonia.1997, tre anni dopo. Chitarrista nuovo (il bravissimo Knut M.Valle al posto dell’altrettanto eccezionale Karl August Tidemann, che comunque compare come guest in un paio di tracce) e musica totalmente nuova. Viene inciso La Masquerade Infernale. La formazione, stratosferica, che incise questo disco era: Garm Rygg anche cantante degli immensi Ulver alla voce, Hellhammer alla batteria, Knut M. Valle alla chitarra, Hugh Steven James Mingay al basso e Steinar Sverd Johnsen alle tastiere.Faccio quest’elenco perché considero questi signori dei musicisti con la M maiuscola, non solo per l’abilità tecnica che possedevano e possiedono (quella non è difficile ottenerla) ma per lo stile inconfondibile ed assolutamente originale che ciascuno ha di suonare il proprio strumento (o la propria voce). Forse proprio questa alchimia ha permesso la creazione di un album tanto inarrivabile.

Ma andiamo ora a riprendere il nostro “genio” e le sue caratterizzazioni. “Il genio è un talento di produrre ciò che non ha una regola determinata” Quanto è vero. E quanto in questo caso è calzante questa definizione! La Masquerade Infernale non è un disco Black. Ma non è gothic. Ne doom. Ne nessun altra classificazione gli calza. Non ha sfruttato canoni o standard già prefissati, ma ne ha creati di nuovi. E questo ci fa saltare direttamente al secondo punto: “I suoi prodotti [del genio] devono essere esemplari, in quanto, pur non essendo nati da imitazione, devono valere come misura e regola di giudizio” Nulla prima di questo disco ricordava questo disco, neppure il gruppo stesso che lo ha composto suonava qualcosa di simile. E’ dunque qualcosa d’insensato? No, l’opera d’arte autentica, se è tale, è in grado di stabilire i canoni, non li segue. E’ un nuovo paradigma. Dovrebbe (e pongo l’accento sul dovrebbe: sarebbe ora che gruppi senza idee si rendessero conto di dove può portare la sperimentazione del metal) essere una fonte inesauribile di ispirazione (e non di copia). Terzo e ultimo punto: “l’artista di genio non è in grado di mostrare o descrivere scientificamente il proprio prodotto, l’autore del prodotto non sa come si trovino in lui le idee che lo hanno guidato, ne sa ritrovarle” Questo non posso saperlo per certo, ma l’impressione che si ha ascoltando l’album è che la sua concezione, in molte parti, non sia frutto di un ragionamento a tavolino, ma che sia una nascita spontanea da una serie di jam-session. Niente di pianificato. Non esiste schema strofa-ritornello-strofa, l’impressione è che cinque musicisti di altissimo livello si siano messi a suonare trovando la lunghezza d’onda ideale e completandosi alla perfezione. Da lì, un creatura che è in grado di trasmettere angoscia, malinconia, ansia, dolore, ma anche beffarda ironia e il sottile piacere della dissimulazione.

Il valore “teatrale” di quest’album infatti è enorme. Fina dal titolo possiamo intuire come l’intento sia quello di inscenare un enorme mascherata dove si vede e non si vede, dove c’è scherno e dove c’è invidia, dissimulazione e dolore autentico. Il male, il dolore, quello sottile, passa attraverso i solchi di questa musica, per chi lo sa cogliere. Un dolore molto più raffinato e psicologico di quello trasmesso da un album Brutal. Leggete i testi. Non per niente nel booklet, (con un artwork a dir poco eccezionale per come si sposa con la musica) sono citati Baudelaire e De Sade piuttosto che Lucio Fulci… A chi si stesse chiedendo: ma ci sono le chitarre? Risponderò: si, ci sono. Ma forse non quelle che ti aspetti, niente riff spaccaossa ne assoli maideniani, la chitarra di Valle disegna degli intricati vortici sonori, ipnotici, che non ricordano certo l’uso convenzionale della chitarra in ambito metal. E non ci sono solo le chitarre: puoi sentire, nella complessa trama musicale, violini, trombe, flauti, corni o campionature elettroniche. L’uso della voce da parte di Garm è parimenti di difficile descrizione: non più lo screaming tipicamente Black del primo disco ma una voce “pulita”, espressiva, a tratti grottesca a tratti ironica, ora impostata ora in falsetto, ora un urlo, ora un assurdo duetto con Simen Hestnæs (meglio poi conosciuto come I.C.S. Vortrex poi con i Borknagar e i Dimmu Borgir). Nel booklet Garm è sotto la voce: “Statements, samples, loops, & buffoonery” E’ un disco difficile, senza dubbio. Non puoi metterlo dentro lo stereo preparandoti a fare headbanging. Ne puoi aspettarti di imparare a memoria i brani dono 4/5 ascolti.

Personalmente ascolto questo disco da anni, nei momenti giusti, ed ogni volta mi dà qualcosa di nuovo, ogni volta sento un suono che prima non avevo avvertito, o una sfumatura che prima era coperta. Non chiedetemi come fa la chitarra al minuto 3:26 della traccia 5…non posso ricordarlo ed è giusto che sia così. Un altro signore una volta disse (a proposito di libri, ma il concetto vale anche nel nostro caso): “Un classico è un libro che non ha mai finito di dire ciò che ha da dire”. E questo disco non ha mai finito. Anche per via della troppo scarsa conoscenza che si ha di questo gruppo e di quest’album. E questo è un delitto. Bisogna spargere la buona musica il più possibile, i gruppi che iniziano ora devono avere la possibilità di guardare oltre. Questo è il grosso pregio del Black Metal. E’ nato come il genere forse più intransigente e uguale a se stesso della storia, eppure dal sangue delle sue ferite autoinflitte sono fuoriusciti gruppi e musicisti che con il Black hanno poco o nulla a che vedere, e che incarnano a mio parere il lato più avanguardistico, sperimentale, colto e fecondo dell’intera scena metal. Forse non sarà il futuro del metal, ma dobbiamo guardare a questo movimento con molto più interesse ed attenzione di quanto non si faccia oggi.

  1. Master Of Disguise
  2. Ad Astra
  3. The Chaos Path
  4. La Masquerade Infernale
  5. Alone
  6. The Throne Of Tragedy
  7. Painting My Horror
  8. Of Nails And Sinners

Ultimi album di Arcturus

Band: Arcturus
Genere: Avantgarde 
Anno: 2015
78
Band: Arcturus
Genere:
Anno: 2002
90