Recensione: Long Way Down

Di Francesco Maraglino - 26 Dicembre 2014 - 9:19
Long Way Down
Band: Bailey
Etichetta:
Genere: AOR 
Anno: 2014
Nazione:
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78

E’ passato appena qualche mese dall’uscita di Three Lions, progetto discografico che, oltre a vedere tra le sue fila musicisti del rango di Vinny Burns (chitarra e tastiere) e Greg Morgan (batteria), ha fatto affacciare per la prima volta al proscenio dell’hard melodico la figura, all’epoca ignota, nel non più giovanissimo cantante, bassista e chitarrista Nigel Bailey. Nonostante il poco tempo trascorso dalla sua opera prima, verosimilmente in conseguenza degli ottimi riscontri di quel lavoro (ma pure della probabile urgenza espressiva derivante da tanti anni di lavoro oscuro nel quale troppe canzoni erano state lasciate nei cassetti), il musicista inglese sforna subito altre undici pregevoli tracce di luminoso AOR. Il nuovo platter, stavolta, esce con il marchio Bailey, s’intitola “Long Way Down“, e vede il rocker affiancato da strumentisti deluxe come Alessandro Del Vecchio (anche produttore) alle tastiere, Mario Percudani alle chitarre e Alessandro Mori alla batteria.

Il full-length è un altro profluvio di tracce hard rock cosparse da rilucente melodia ma, rispetto al lavoro dei Three Lions, spinge l’acceleratore su una maggiore carica hard’n’heavy.
Vanno in corsa come treni, infatti, Feed The Flames, brano melodico e luccicante ma reso heavy quanto basta da riff e brevi assoli d’ascia, ed i tiratissimi rocker, a metà  tra class ed AOR,  Dirty Little Secret, Stay, Long Way Down e, soprattutto, l’accattivante Bad Reputation.
Love Falls Down e l’avvincente In The Name Of The King, fondono senza esitazione armonia ed hard rock, venandoli di epicità alla Dare.
Sempre connotata da grandiosa solennità è la power ballad  Spend The Night,  e ancora su suoni più quieti rispetto alla media del CD si muovono i soft-rock elegantissimi Ticket To Yesterday, invero appena un po’ di maniera, e la più attraente Somewhere In Oslo, piccola grande gemma ammantata  da calore e stile raffinato.
L’implacabile Dirty Angel, in chiusura, si presenta come il brano più cattivo del lotto, e dimostra che Bailey, pur se pervaso da un’anima melodica, resta un rocker energico e tosto.

Long Way Down, in definitiva, è un lavoro che, per la seconda volta, certifica la determinazione ed il talento finora sconosciuto di Nigel Bailey, mettendo in mostra un lotto pregevole e raffinato di canzoni, forse appena penalizzate da eccessiva uniformità d’atmosfere.
L’album, invero, avvalora, grazie anche ad una produzione scintillante, una notevolissima classe compositiva ed esecutiva, ingemmata qua e là da riferimenti a numi tutelari come Whitesnake, Rainbow, FM, Dare, Ten, e che si distingue per feeling da tanti altri troppo stereotipati progetti AOR.
Una piacevolissima conferma.
 

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