Recensione: Risk Everything

Di Francesco Maraglino - 26 Aprile 2015 - 7:00
Risk Everything
Etichetta:
Genere: AOR 
Anno: 2015
Nazione:
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78

Tutti quelli che sono infatuati del versante più melodico e patinato dell’hard rock sanno chi è Jim Peterik, già tastierista (e chitarrista) di Ides of March e, soprattutto, Survivor. Non vi è poi, sicuramente, persona al mondo, tra chi ha attraversato gli anni ottanta del ventesimo secolo, che non abbia ascoltato almeno una volta Eye of The Tiger, che proprio i Survivor avevano donato alla colonna sonora del terzo capitolo della saga cinematografica dedicata al pugile Rocky, interpretato da Sylvester Stallone.
Anche negli anni duemila, certo meno favorevoli all’AOR degli Eighties, ma che pure assistono ad una certa rinascita “di culto” del genere rispetto al decennio precedente, hanno visto Peterik tra i protagonisti assoluti, soprattutto grazie a quella sua creatura denominata Pride of Lions, autrice di album come l’omonimo esordio,  il successivo The Destiny Stone e l’ultimo Immortal. Questi lavori hanno visto Jim affiancato all’ugola prodigiosa di Toby Hitchcock, in una proposta artistica foriera di un melodic rock pomposo e grandioso sebbene muscolare e determinato.
I Pride of Lions sono tuttora sempre in pista (si veda la recente esibizione al Frontiers Rock Festival) ma Peterik si è concesso una digressione dedicandosi, in qualità di produttore, songwriter e musicista, ad un altro progetto, nel quale troviamo al suo fianco un altro finora  sconosciuto vocalist, Marc Scherer. Il frutto dell’accoppiata Peterik – Scherer trova la sua espressione in un full-length dal titolo “Risk Everything”.
Si narra che Jim abbia incontrato Marc Scherer a Chicago durante la registrazione di canzoni per la band di quest’ultimo, Arc of Ages, e che la sua voce sia stata utilizzata anche per i demo di Immortal dei Pride of Lions.
In effetti, l’approccio di Marc Scherer al canto, pur se il timbro non è del tutto sovrapponibile a quello di Toby, non è poi così dissimile da quello del titolare del microfono dei POL.

Difatti, quando ci approcciamo alla canzone che apre il CD, il rocker Risk Everything, siamo pervasi dal dubbio che a deliziarci siano proprio i Pride Of Lions o, in subordine, i Survivor. Il mix di armonia, pomposità (qui non troppo accentuata) e di chitarre gradevoli, infatti, è il medesimo.
Gli stessi stilemi si propongono in Chance Of A Lifetime, in cui il suono lineare della sei-corde si staglia su uno sfondo di enfasi stentorea, mentre il ritmo è cangiante, alternando momenti lenti a passaggi uptempo.
Un mood maggiormente gioioso illumina, altresì, Brand New Heart, pieno di rimandi alla band di Burning Heart.
Curiosamente, più che ai Survivor o ai POL, il duo Peterik-Scherer in qualche caso sembra rifarsi piuttosto agli Styx, altra gloriosa band di pomp-rock: Thee Crescendo, ad esempio, una delle tracce più interessanti del platter, è teatrale e caratterizzata da un flavour da musical, come peraltro la più spavalda The Dying Of The Light.
Un’autentica zampata di grinta e di capacità di coinvolgimento è Independence Day, traccia veloce e condotta da riff circolari d’ascia nonché ingemmata dal solare ritornello, e così dicasi per Desperate In Love, dall’intro acustica che precede uno slow ancora pervaso dall’accentuato slancio del canto e della costruzione sonora.

Ciò che desta perplessità, in Risk Everything, pur a fronte dell’indiscutibile ed elevatissima qualità delle canzoni, è la sostanziale replica – peraltro legittima, visto che in entrambi i progetti il dominus è Jim Peterik –  dello stile e delle atmosfere degli album dei Pride Of Lions, con qualche calo di tono rispetto a questi ultimi. How Long Is A Moment, ad esempio, è una power ballad melodrammatica ma con un retrogusto dejà senti, come Milestones, midtempo senza picchi con lievi tocchi soul, e ancora, Broken Home, invero un po’ ripetitiva.

Per finire, Risk Everything è stracolmo di raffinatezza e di gusto delle composizioni (desta sempre meraviglia la capacità dell’autore di esprimere melodie dolcissime senza mai sconfinare nel mellifluo) e di eleganza nell’espressione delle chitarre (prevalentemente affidate a Mike Aquino), e presenta per la prima volta un vocalist dotato ed impeccabile. Non mancherà, dunque, di soddisfare le esigenze del popolo dell’AOR, fornendo esattamente ciò che esso si aspetta da un album marchiato Jim Peterik, pur non proponendo nulla di sostanzialmente innovativo rispetto alla carriera del mastermind che lo ha progettato e realizzato.

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