Recensione: Spectre Of Devastation

Di Roberto Castellucci - 15 Gennaio 2021 - 16:42
Spectre Of Devastation
Band: Warfect
Etichetta: Nuclear Blast
Genere: Thrash 
Anno: 2020
Nazione:
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71

Da una quindicina di anni gli album Thrash Metal hanno riguadagnato molte posizioni nelle librerie musicali degli appassionati. Il ritorno in auge di sonorità fedeli agli albori del Thrash anni ‘80 piace agli affezionati del genere, sempre in attesa del disco che, come fece a suo tempo “Kill ‘em All”, rimescolerà le carte fino ad istituire una seconda età dell’oro. Non manca d’altro canto chi vede in questo revival una moda passeggera, ricca di proposte derivative e sprovviste dell’originalità necessaria per staccarsi dall’ombra dei grandi maestri del passato. Qualunque sia l’opinione a riguardo, è innegabile come negli ultimi anni molti musicisti Thrash, più o meno giovani, abbiano dato alle stampe lavori di qualità indiscutibilmente alta: ne sono esempio i Warfect, svedesi di Uddevalla, giunti con “Spectre Of Devastation” al traguardo del quarto album. Attivi dal 2003 con il monicker Incoma, si fanno conoscere come Warfect a partire dal 2008, per poi pubblicare il loro primo album, “Depicting the Macabre”, nel 2009. L’esordio discografico come quartetto, ancora piuttosto acerbo, cerca faticosamente di trovare il suo spazio vitale mescolando groove thrash anni ’90 a suggestioni ispirate dai connazionali Meshuggah, con il cantante Fredrik Wester che in più di un’occasione ricorda la voce del nostrano G.L. Perotti al microfono dei suoi ex-compari Extrema. Il secondo full-length “Exoneration Denied” del 2013, dopo uno sfoltimento dei ranghi da quattro a tre elementi, aggiusta il tiro rispetto al primo disco: i Warfect iniziano ad esprimere la loro dedizione a un Thrash Metal di stampo classico che caratterizzerà tutta la loro produzione, fortemente debitrice della tradizione teutonica.

L’influenza dei Sodom infatti si sente, forte e chiara, sia nelle parti ritmiche in up-tempo ultraveloci che nella voce del cantante, più graffiante e uniforme rispetto al debut album, in grado di rimandare fin dal primo ascolto all’ugola di cartavetro del buon vecchio Tom Angelripper: non a caso la pagina di Bandcamp dei Warfect definisce il loro stile come blackened Thrash Metal. “Exoneration Denied”, oltre a limare e a definire lo stile musicale del trio, pone le basi della loro iconografia: fa la sua comparsa nella copertina dell’album un giudice demoniaco vestito di rosso, mascotte del gruppo presente anche nelle copertine dei successivi due dischi. La testa decapitata del giudice appare tra le mani di un tombarolo nella cover del terzo album datato 2016, “Scavengers”, per poi ritornare sulle spalle del proprietario nella copertina di “Spectre Of Devastation”. L’illustrazione principale del disco è stata affidata ad Andreas Marschall, artista conosciuto per aver impreziosito “Imaginations From The Other Side” e “Nightfall In Middle-Earth” dei Blind Guardian, “Coma Of Souls” dei Kreator e “Agent Orange” dei Sodom, tanto per citare alcuni esempi. L’artwork mostra il giudice in uniforme rossa mentre tiene al guinzaglio tre grossi ratti zombi, chiaramente responsabili dell’epidemia descritta nel secondo brano di “Spectre Of Devastation”, “Pestilence”. La parrucca barocca da giudice inglese settecentesco non fa nulla per nascondere il volto del personaggio, quasi un incrocio tra Eddie degli Iron Maiden e il predicatore armato evocato dai Sanctuary nella copertina di “Refuge Denied”. Il minaccioso figuro, celebrato nel brano “Rat King”, sembra in questa sede una rielaborazione grafica del Pifferaio di Hamelin, figura già poco edificante nella fiaba che lo vede come ambiguo protagonista. Sembra che il diabolico giudice abbia ripreso l’opera del controverso pifferaio: dopo aver messo da parte il flauto usato dal suo illustre predecessore per attirare fuori dalla città i ratti appestati, in modo da farli annegare nel fiume, decide di riesumare i sui piccoli amici passando alle catene come strumento per guidarli. Come ogni buona manifestazione artistica di genere fantastico, l’efficace artwork e i testi di alcuni brani sfruttano tematiche in bilico tra horror e fantasy per parlare di questioni moderne e contemporanee: pestilenze, schiavitù, migrazioni di massa, guerra, totalitarismi. Viene da chiedersi se la doppietta composta da “Pestilence” e “Rat King”, rispettivamente secondo e terzo brano del platter, sia stata scritta profeticamente prima dell’attuale pandemia o ne sia un’interpretazione artistica. Sicuramente, dal punto di vista musicale, la furia sonora che caratterizza i due brani esprime con efficacia la minaccia rappresentata dalla peste diffusa dal giudice in rosso; nella tiratissima traccia “Rat King” il batterista inserisce brevi parti in blast beat che arricchiscono l’impatto devastante del tappeto ritmico senza risultare invadenti o forzati. Con i due successivi brani, “Left to Rot” e “Hail Caesar”, i Warfect sembrano illusoriamente rinunciare ai ritmi supersonici per costruire tracce dall’incedere più cadenzato e pesante.

Il rilassamento, se così si può dire, dura comunque poco: le accelerazioni in entrambi i brani non tardano ad arrivare, dimostrando da parte del trio di Uddevalla una necessità fisiologica di alzare il prima possibile i BPM in tutte le loro canzoni. Non sono eccezione le tracce  “Into The Fray”, “Colossal Terror” e “Witch Burner”, che ci accompagnano con aggressività verso la chiusura dell’album. “Colossal Terror” recupera e amplia le parti in blast beat accennate in “Rat King”, mentre “Witch Burner” sembra scritta appositamente con lo scopo di scatenare un mosh pit violentissimo in sede live. Degno di nota, per il lettore curioso interessato all’approfondimento, il brano “Into The Fray”, dedicato al controverso incidente del sottomarino russo Kursk avvenuto nel 2000 nelle acque del Mare di Barents: la traccia, anch’essa ricca di parti ritmiche impetuose e velocissime, affronta i problemi legati agli armamenti nucleari e alle decisioni poco limpide prese dai governi, specialmente quando si tratta di gestione delle questioni militari. Si intravede a questo punto uno dei probabili bersagli di alcuni testi di “Spectre Of Devastation”: la Russia, presa di mira sia nella più recente manifestazione come Federazione Russa che nella precedente incarnazione, l’URSS. I rapporti tra Svezia e Russia d’altronde non sono mai stati troppo amichevoli: ricordiamo a titolo di esempio le numerose guerre russo-svedesi scoppiate tra il medioevo e l’età moderna, tra le quali citerò l’ultima, la Guerra di Finlandia, scatenatasi tra il 1808 e il 1809 e che portò alla sottrazione della Finlandia alla Svezia da parte degli Zar. Avvicinandoci ai giorni nostri, risale a Settembre del 2020 la notizia di un inasprimento delle tensioni tra i due paesi, dovuto a una serie di esercitazioni militari russe tenutesi negli ultimi 6 anni a poca distanza dalle coste marine svedesi. L’interpretazione anti-sovietica delle parole dei Warfect getta una luce diversa sui brani del loro disco. Oltre alla denuncia verso la gestione russa dell’incidente del Kursk di “Into The Fray” leggiamo con altri occhi anche il testo di “Left to Rot”: la narrazione del “trasferimento” di schiavi mandati a lavorare (e a morire) in un generico e desolato “nord” sembra in realtà essere un resoconto delle deportazioni staliniane in Siberia. “Colossal Terror”, a sua volta, descrive gli errori e gli orrori di un governo totalitario che ricorda molto da vicino la dittatura di Stalin. L’ultimo brano del platter è un’ulteriore conferma di questa critica al lato rosso della storia politica novecentesca: la nona traccia, “Dawn of the Red”, è ricca di interpretazioni, a partire dal gioco di parole con il titolo di un notissimo film horror del 1978 diretto da George A. Romero: Dawn of the Dead, in Italia conosciuto semplicemente come Zombi. L’alba dei Rossi dei Warfect richiama in prima battuta le vesti rosse del giudice/mascotte, visivamente simile agli zombi immortalati dalle immagini del mitico film. La lettura del testo porta tuttavia ad un’altra interpretazione: la mobilitazione del popolo e dell’esercito russo contro l’invasione tedesca del 1941 viene paragonata all’ascesa di un’armata di morti viventi, emanazione diretta di un regime dai connotati fortemente negativi. I ritmi e i riff di “Dawn of the Red” fin da subito evocano il Black Metal dei Venom, scelta azzeccata per raccontare l’avanzamento di un esercito degno di una pellicola horror.

Spectre Of Devastation associa ritmi velocissimi e riff affilati come rasoi al valore aggiunto della produzione cristallina di Flemming Rasmussen, un professionista che di Thrash se ne intende: tanto per capirci, il sig. Rasmussen sedeva dietro al mixer in compagnia dei Metallica ai tempi di “Ride The Lightning”, “Master Of Puppets” e “…And Justice For All”. La presenza di una figura così altisonante, oltre a garantire la buona qualità del prodotto finito, dimostra la scelta da parte dei Warfect di rimanere fedeli alla solida tradizione del Thrash anni ’80. Chi è alla ricerca di novità e sperimentazioni incontrerà infatti qualche difficoltà: le 9 tracce che compongono il platter si permettono, come unica concessione alla contemporaneità, la sporadica evoluzione dei ritmi di batteria in terremotanti blast beat, confermando così l’attuale tendenza di molti thrashers a mettersi al passo con le estremizzazioni musicali sdoganate nell’ultimo trentennio. In definitiva ci troviamo tra le mani un disco ben scritto e ben suonato che, pur non brillando in quanto a originalità, saprà regalare sicuramente qualche momento di spensieratezza a tutti coloro che vorranno dare fiducia ai Warfect. Buon ascolto!

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