Recensione: The Wild Card
Roba da fuoriclasse.
“Wild Card“, decimo cd in carriera, è un album che, sin dal primo ascolto, afferma con forza la continuità e la coerenza stilistica dei Treat, band svedese ormai iconica nell’ambito del melodic rock europeo. Dopo una carriera costellata da dischi seminali e qualche inevitabile (minimo) passaggio a vuoto, i Treat riaffermano la propria identità con una matura autorevolezza che traspare in ogni traccia, mandando a referto un cd che sorprende per uniformità e spessore. Una volta tanto, nessun pezzo debole usato come semplice riempitivo. Tutto ha un senso ed offre l’idea di essere pensato e studiato con cura. Dal principio ala fine, ogni brano ha motivi concreti di interesse.
Senza andare troppo per il sottile, un nuovo caposaldo nella loro carriera ed un serio candidato a disco dell’anno in ambiti melodici.
Album d’impatto che nasconde oltretutto un significato profondo per gli stessi Treat. Uno degli aspetti più innovativi di “Wild Card” è, infatti, la scelta di costruire una sorta di timeline interna al disco. Anders Wikström conferma che il filo conduttore delle tracce rispecchia la vita, l’amore e la storia della band.
Ogni pezzo ha un motivo preciso per comparire nella tracklist. Si inizia con “Adam & Evil“, che esplora l’infanzia di Wikström, e si prosegue con “1985“, commemorazione di un anno cruciale per i Treat. “One Minute to Breathe” diventa addirittura una dedica alle persone che hanno accompagnato la band e oggi non ci sono più. Questa struttura cronologica, mai veramente lineare, conferisce coesione all’album e stimola l’ascoltatore a cogliere i riferimenti autobiografici seminati con sottile maestria. Una straordinaria maestria che emerge nel giostrare un songwritng accattivante, lucido e pieno di hookline vincenti, fatto di pezzi ficcanti, che come il singolone “Out With A Bang” piacciono al primo ascolto. Ma il discorso potrebbe valere anche per “Endavour”, “Back to the Future” o “In The Blink of an Eye”. Canzoni che lasciano a bocca aperta per la facilità con cui sciorinano easy listening, mescolato a tecnica eccelsa e suoni raffinatissimi.
Difficile individuare un punto debole.
“Wild Card” è poi un disco che regala sorprese anche a livello iconografico. Il clown, o meglio il jester, che campeggia sulla copertina non è solo una scelta grafica potente; simboleggia la doppiezza e l’imprevedibilità del titolo. La band si diverte a sovvertire le aspettative di chi pronosticava la fine dopo il precedente “The Endgame” (2022), dichiarando di avere un nuovo asso nella manica. Il jester, figura ambigua, incarna la voglia di rinnovamento e la consapevolezza di poter sorprendere ancora, nonostante la lunga carriera.
Melodicamente, “Wild Card” è, come detto, un lavoro di grande mestiere. I brani mantengono una struttura classica, immediata, ma sono impreziositi da melodie vincenti e ritornelli irresistibili. Wikström sottolinea come tutto nasca da un mix di istinto e instancabile lavoro: demo incisi in solitudine, un processo creativo che alterna momenti di collaborazione ad altri di pura introspezione. Questo metodo, affinato negli anni, permette ai Treat di evitare cali di ispirazione e di produrre sempre qualcosa di credibile.
Il sound resta ancorato alle radici del melodic hard rock, con citazioni esplicite ai grandi numi tutelari della storia. Sweet, Queen (come non riconoscerli in “Her Majesty”?), Boston, Van Halen, Kiss e Def Leppard sono i fari che orientano le scelte stilistiche. Gli arrangiamenti sono raffinati, la produzione pulita esalta la potenza delle chitarre e la cura nella sezione ritmica. Le tastiere aggiungono profondità e atmosfera, senza scivolare mai in un mero esercizio di nostalgia.
Non cambiano le coordinate del lavoro strumentale quindi: chitarre, tastiere e microfoni sono strumenti al solito imprescindibili e basilari. Come la tradizione impone.
“Wild Card” trasmette emozioni ed una passione intatta dopo tanti anni di militanza: Wikström lo ribadisce, la musica è la sua più grande vocazione dopo la famiglia. La motivazione nasce dalla volontà di comunicare sentimenti positivi — amore, gioia, voglia di vivere — anche attraverso l’uso di metafore, sempre presenti nei testi.
Non solo una raccolta di brani ben confezionati; un vero manifesto del percorso artistico dei Treat, capace di guardare al passato senza rimpianti e al futuro con rinnovato entusiasmo. Un punto di riferimento per chi ama il melodic rock fatto con mestiere, passione e una sincera voglia di condivisione.
In un panorama spesso ripetitivo, i Treat confermano la propria statura di maestri assoluti, regalando una nuova prova di vitalità e talento.
Come suggerito in precedenza, difficilissimo trovare punti deboli ad un disco praticamente perfetto. Un serio candidato a disco dell’anno. Di nuovo.
Inutile aggiungere altro.


