Recensione: V: Lamentations

Di Stefano Usardi - 24 Luglio 2025 - 15:40
V: Lamentations
Band: Wytch Hazel
Etichetta: Bad Omen Records
Genere: Epic  Heavy 
Anno: 2025
Nazione:
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77

Come si evince dal titolo dai rimandi biblici, “V: Lamentations” è il quinto capitolo dell’epopea musicale dei miei amati Wytch Hazel, compagine britannica – di Lancaster, per la precisione – dalla smaccata impronta rétro che da tempo staziona immancabilmente tra i miei ascolti preferiti. Per chi non li conoscesse, la matrice sonora del quartetto d’Albione è descrivibile come un hard & heavy in bilico tra gli anni ’70 e ’80, caratterizzata da armonizzazioni in odor di Thin Lizzy, sporadici innesti folk (qui in realtà piuttosto latitanti) e suggestioni proto–metal che si mescolano a sviluppi solenni che ricordano i Wishbone Ash per sostenere un impianto lirico di stampo protervamente cristiano. Questa nuova fatica dei nostri arriva a due anni dal precedente capitolo, “IV: Sacrament” (ve ne avevo parlato qui), e ne prosegue il discorso musicale senza sgarrare di una virgola dalla rotta tracciata. Questo anche perché, stando alle parole di Colin, quasi tutte le canzoni di “V: Lamentations” erano praticamente pronte quando il sunnominato “Sacrament” è stato dato alle stampe. La musica dei nostri è calda, accogliente, velata da una mestizia nostalgica che anche nei momenti più solenni preferisce giocare con una gamma cromatica morbida, vibrante, piuttosto che affondare il colpo con lampi più vivaci (come ad esempio accadeva in “Pentecost”). Gli sprazzi enfatici che pervadono di tanto in tanto le composizioni si mescolano ad un lirismo più meditativo, contenuto, creando così giustapposizioni emotive intriganti che aiutano a delineare paesaggi indistinti, crepuscolari. Come al solito, quando si parla di Wytch Hazel, anche in “V: Lamentations” la qualità delle composizioni si mantiene su un certo livello, dando vita a brani che, seppur semplici ed immediati, si dimostrano capaci di rivelare nuove sfumature ad ogni ascolto e fondersi egregiamente col messaggio che il gruppo vuole veicolare.

La partenza è affidata al riff dinamico di “I Lament”, e in un attimo si è a casa: ritmica pulsante e melodie solari conducono al ritornello glorioso, screziato di solennità. Il rallentamento che apre la seconda parte del pezzo ne spezza l’andamento per parlare una lingua diversa, sorniona, e tornare in un attimo alla melodia portante giunto in tempo per il finale. “Run the Race” prosegue su ritmi vagamente più blandi, mantenendo però intatta la determinazione incontrata in precedenza e ricorrendo a melodie che nella parte centrale mescolano malinconia e carica eroica, venate di un sentore progressive. Un arpeggio d’altri tempi apre “The Citadel”, che in breve si trasforma in una marcia scandita che, distendendosi su tempi lenti e marziali, sembra tornare ad una certa sfacciataggine sonora. In realtà il mood crepuscolare dei nostri torna a farsi sentire, ammantando il pezzo della sua atmosfera anni ’70 ma senza privarlo di una certa aura solenne. Con “Elements” si torna a dispensare melodie più propositive, innestandole su una base ritmica agile e coronando il tutto con un lavoro delle chitarre dal piglio azzeccato, mentre “The Demon Within” prosegue su coordinate simili colorandosi, però, di un fare più sornione, quasi ammiccante, che si carica di una certa enfasi durante il ritornello. Si torna ai ritmi quadrati con “Racing Forward”, altra marcia scandita che spande intorno a sé una bella determinazione grazie a un piglio fiero e melodie che, nonostante qualche passaggio malinconico e in alcuni casi addirittura dimesso, lasciano trasparire una certa pienezza. Un arpeggio delicato apre “Elixir”, breve intermezzo acustico dal fare tenue e meditativo che cede il passo alla più spigliata “Woven”. Qui, ritmi secchi e chitarre croccanti tornano a dispensare melodie solari e rotonde. Il rallentamento solenne sfuma inizialmente in una pausa dimessa, per poi allacciarsi al breve solo ed infine tornare alla melodia portante in tempo per il finale. Note languide aprono “Heavy Load”, traccia dimessa e dal respiro solenne che incede con passo lento e composto. Il pezzo guadagna corpo lentamente, serpeggiando tra melodie suadenti e lievi ispessimenti, ma non perde mai il suo pathos malinconico e crepuscolare. Chiude l’album “Healing Power”, introdotta da toni trionfali che si riverberano tra i suoi solchi sfruttando una melodia portante dal fare ipnotico. Il cambio di tono centrale introduce una nuova enfasi per poi tornare a fondersi con la melodia iniziale ricominciando tutto da capo e sfumando, infine, in una chiusura soffusa, sognante.

V: Lamentations” è un lavoro elegante, raffinato e sicuramente affascinante, e prosegue senza timore di smentita il ciclo positivo dei Wytch Hazel. Se devo essere sincero avrei preferito qualche cucchiaiata in più dell’arroganza sentita in “Pentecost”, ma devo ammettere che anche questa versione più contemplativa del combo del Lancashire ha parecchie frecce al suo arco.

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