Maestri di giornalismo HM: Giancarlo Trombetti

Di Stefano Ricetti - 30 Aprile 2020 - 12:26
Maestri di giornalismo HM: Giancarlo Trombetti

Dopo l’intervista a Beppe Riva risalente al marzo 2005, è ora la volta di un altro dei decani del giornalismo HM in Italia: Giancarlo Trombetti. Oltre a essere stato un instancabile attivista al servizio del metallo per la rivista Rockerilla nei primi anni ottanta, nel 1986 fonda Metal Shock. Personaggio poliedrico, vanta posizioni di assoluto rilievo anche in ambito televisivo e radiofonico, ma non vi dico di più in quanto gli argomenti verranno sviscerati man mano nell’intervista che segue: un’altra mazzata a la Steven Rich. Prendetevi quindi il tempo necessario e gustatevela passo passo: se l’HM oggi è quello che tutti conosciamo, è grazie anche a personaggi come Giancarlo, grande appassionato e conoscitore dell’hard rock fin dalle origini, oltre che arguto osservatore in ambito musicale a 360°, ironia e sane polemiche incluse!
Buona lettura.

Stefano “Steven Rich” Ricetti

Allora Giancarlo, se concordi partirei con delle domande cronologiche: dalle origini alle ultime vicende. Comincerei con la carta stampata. Iniziasti come collaboratore della rivista DoppioVù di Mondatori a metà anni settanta, poco dopo approdasti a Popster (di lì a poco Rockstar) e nel 1980 cominciasti con Rockerilla. La domanda d’obbligo è: cosa ti spinse a scrivere di musica e di hard’n’heavy in particolare?

Uhmm….Ricordo che la musica pop e rock (all’epoca mia si chiamava così, come vedi le etichette cambiano, ma non è detto che al tempo stesso muti di molto anche la sostanza della musica) è stata una delle mie più grandi passioni. Infantili, più che giovanili. Quando ero ancora un bambino frequentavo, in estate soprattutto, una cuginetta poco più grande ed una sua amica milanese; una era appassionata dei Beatles, l’altra dei Rolling Stones. Io me ne stavo nel mezzo, solo nel senso musicale del termine, ed iniziai ad ascoltare ed apprezzare cose che modificarono di molto la mia visione della vita e condizionarono la mia formazione culturale.

Non hai idea di quante volte ho pensato di quanto sarebbe cambiata la mia vita se non avessi ascoltato per pomeriggi interi quei 45 giri…….Pochissimi giorni fa, parlavo con un mio vecchio amico, amico comune, Beppe Riva, ed è saltata fuori una considerazione banale ma significativa: la nostra fortuna, fortuna di appassionati, è stata quella di vivere in un periodo d’oro per la musica rock e per la sua evoluzione…e averla saputa apprezzare accrescendo la nostra cultura personale, questo, sì.

Per risponderti, la passione per la scrittura l’avevo sempre coltivata e scrivere del mio amore più grande era un piccolo sogno che si realizzava. Non ho scritto di rock duro soltanto, o, almeno, non ho iniziato con quello ma dato che in Italia, grande era la schiera dei “Grandi Esperti” di tutto ciò che non era hard rock, fu più facile occupare spazi che molti guardavano con sdegno e distacco. Per me, scrivere bene di album e gruppi che ritenevo, in buona fede, essere geniali autori di capolavori, e vedere pubblicate quelle righe, era una sorta di vendetta nei confronti delle tonnellate di merda che avevo letto – e continuavo a leggere – sulle pagine dei giornali specializzati che mi avevano fatto sentire frustrato fino al giorno prima con i loro giudizi avventati e frutti di pregiudizi, anche politici, perché no?

Come possiamo far finta che per decenni l’hard rock non è stato considerato la naturale evoluzione del blues elettrico, bensì la musica violenta della destra….!!! Con sedicenti giornalisti pronti a scrivere, giusto per esempio, che la copertina di “Secret Treaties” era grondante di simbologia nazista, ad iniziare dal logo del gruppo, i Blue Oyster Cult !!

Questa era vera controinformazione. Volontà esplicita di diffondere palesi falsità o profonda ignoranza ? Io propendo per la seconda ipotesi. Ignoranza e malafede, quindi, ma non dimentichiamo che – con l’eccezione di un paio di nomi – quella generazione di scribacchini ha influenzato per lustri interi le vendite e le importazioni di dischi in un’epoca in cui esistevano solo un paio di programmi radiofonici e qualche periodico autodefinitosi specializzato…

Come ormai anche i sassi sanno ritengo personalmente il magazine Rockerilla dal 1979 al 1986 quanto di meglio sia mai stato realizzato in ambito HM scritto in Italia. Spiega come nacque la tua avventura con quel magazine e come e quando incontrasti Beppe Riva e gli altri: Piergiorgio Brunelli e Tiziano Bergonzi. Hai ancora contatti con loro?

Per Rockerilla ho scritto per otto o nove anni, non ricordo esattamente. Io non posso condividere la tua certezza di definire quelle poche paginette di Hard and heavy quanto di meglio sia mai stato realizzato in Italia. Non fosse altro perché, conoscendone benissimo gli artefici, immaginarmeli come Grandi Giornalisti, mi riesce difficile…me incluso, ovviamente. Il giudizio critico obbiettivo, comunque, non può prescindere dal fatto che noi vivevamo in un piccolo recinto che ci era concesso dai Veri Grandi Giornalisti di quel giornale, seppur per mere necessità editoriali: il metal (chiamalo come vuoi, ma io ho sempre rifiutato le sotto-etichette) faceva salire le vendite, così costoro, usando violenza a se stessi, rinchiudevano nel piccolo ghetto quei tre poveri stronzi, noi, e riempivano il resto del giornale dedicandosi alla purezza cristallina delle note dei loro beniamini.

Se quel recinto di polli è ancor oggi, per te, il meglio di quanto sia stato realizzato in campo rock, abbiamo idee diverse su come si imposta un giornale…Inoltre, la veste grafica di Rockerilla è sempre stata niente di più che quella di una fanzine economica….ad un prezzo di tutto rispetto.
L’avventura, così come tutto il resto, d’altronde, nacque assolutamente per caso. Nella metà dei settanta, conducendo un programma in una radio privata (…libere le chiamavano, e forse era veramente l’unica dizione corretta da utilizzare! Libere senz’altro dalla schiavitù delle imposizioni discografiche, ma non da certi tumori ideologici…), conobbi un giovanotto appassionato di fotografia rock.

Il giovanotto si chiamava e si chiama tuttora Luca Silvestri. Luca aveva la possibilità di viaggiare ed ospitare, soprattutto a Londra e in Svizzera, due mete ideali per chi, come noi italiani, non aveva la possibilità di vedere ospitati concerti di rilievo nella penisola…non so se ricordi gli avvenimenti del ’74 ed anni a seguire, in campo musicale…. Così Luca, vero appassionato, mi propose di tentare l’avventura: lui avrebbe fatto le foto, io scritto i testi. Lui ci avrebbe messo anche la faccia tosta di provare a “venderne” i risultati.

Fu Luca a procurarmi il contatto con tal Rivera di Rockerilla, il quale, a sua volta, mi introdusse a Beppe. Con loro iniziai così: regalandogli Luca le sue foto, bellissime, tra l’altro, ed io i miei scritti. Vorrei sottolineare, che, ad oggi, attendo ancora il mio primo pagamento proprio da quel Rivera che, per anni, ci ha menato entrambi per il naso…Sì, per scrivere “quanto di meglio sia mai stato realizzato in ambito HM in Italia”, io non ho mai percepito una lira.

Piergiorgio lo portai io a Rockerilla. Eravamo insieme a Londra in quegli anni. Pier scelse di fare il mestiere di fotografo e gli riuscì. Luca smise troppo presto: per lui la fotografia era un hobby, vero. Onore al merito suo : Robert Ellis, se ricordi chi sia, gli fece i complimenti per le foto che vide pubblicate, e a Londra, fin quando lui scattò, il primo photopass concesso dai promoters era suo. Il secondo di Piergiorgio. Questo basti a inquadrare le mie graduatorie di merito. Piergiorgio l’ho perso di vista, da anni, grosso modo dalla metà degli anni ottanta. Con Beppe e Tiziano ho avuto ben altri rapporti di amicizia. Tiziano lo ricordo con affetto, anche se non lo vedo da qualche anno; Beppe lo sento con una certa regolarità e con lui ho trascorso eccellenti vacanze al mare…

Nella foto: Giancarlo e Luca Silvestri, agosto 1980, Londra.

 

Sempre riguardo i tuoi trascorsi all’interno della redazione di Rockerilla, hai qualche divertente aneddoto da raccontare?

Niet, niet…. Io non ho sostanzialmente mai fatto parte della redazione di Rockerilla. Credo che avrei litigato dopo dieci minuti, date le condizioni. Ero un collaboratore, forse un po’ privilegiato, ma dal rapporto con Beppe, non certo dal rapporto con gli altri, come puoi immaginare. Non ho aneddoti di sorta, se non Rivera che con la sua voce un po’ curiale mi chiedeva di accelerare i tempi di consegna.

Io, regolarmente, gli ricordavo che erano sempre più veloci dei suoi pagamenti promessi. E tutto finiva lì. Una volta, mi impuntai – poco, devo dire, la passione era tanta comunque avevo qualcun altro che mi pagava, anche se la lista di quelli da cui vanto ancora oggi crediti è molto più lunga di coloro che mi hanno pagato ! – e lui mi giurò di inviarmi due dischi che avrei dovuto recensire. Sono ancora qua che li aspetto.

Nei primi anni ottanta sei anche stato inviato a Londra per riviste come Tuttifrutti e Il Mucchio Selvaggio, oltre a collaborare con l’edizione italiana di Rolling Stone. Hai quindi respirato a pieni polmoni l’odore dell’allora nascente Nwobhm. So che risulta un’impresa titanica… ma ti chiedo se puoi condensare aneddoti, ricordi e aspettative di quegli anni irripetibili.

Hai una ventina di pagine a disposizione? Mah….iniziamo a dire che dei tre giornali che hai citato due risultano nella lista dei non paganti e che quello che mi ha pagato era Tuttifrutti….quanto alla new wave…beh….io amerei sottolineare che per gli inglesi la musica è una cosa importante. E non solo perché fa effettivamente parte della loro cultura – mentre qui si canta e si sostiene che “sono solo canzonette” – ma semplicemente perché la loro bilancia dei pagamenti, il loro PIL, è condizionato da quello che riescono ad esportare. Non credo di esagerare se elenco l’industria musicale anglosassone come una delle più importanti ai fini del bilancio statale.

Siamo anni-luce lontani dalla nostra concezione dell’oggetto, quindi. In Inghilterra non si diventa baronetti per avere scritto “Let it be”, ma perché se ne è saputo vendere molti milioni di copie in tutto il mondo. Chi lavora nell’ambiente, a qualsiasi livello, è stimato, apprezzato e considerato così come, in Italia, accade a chi scrive di sport, scusami… di calcio o di politica. Il rispetto e la considerazione con cui sono stato trattato all’estero, a vent’anni, venticinque, non rappresenta un decimo di quanto, vent’anni dopo, ho ottenuto da dirigente in avventure musicali qua e là, in Italia per importanti aziende.

Questo non solo per dovere di cronaca, ma per introdurre un tema a me caro e che mi ha sempre visto abbastanza inviso al resto dei miei colleghi (colleghi?) : le etichette, e la necessità di utilizzarle a profusione. Ero a Londra dal 1978 all’82, spesso e a sbafo. Non ricordo di aver letto più di una mezza dozzina di volte la definizione di New wave of british heavy metal. A mio parere è stata una cotta che qualche specializzato notista italiano ha voluto adottare, ma che non trovava riscontro popolare da quelle parti. Io credo che per loro sia stata più la voglia di contrapporre l’ondata di gruppi heavy alla precedente, quella sì, vera ondata di gruppi punk. Ma l’abuso di quella sigla fa parte della nostra consuetudine, più che della loro.

A Londra, la Mecca del rock and roll, c’erano una manciata di locali che facevano tendenza. Chi suonava in quei locali per una stagione, finiva poi sulle copertine di NME o di MM o nei grandi festival estivi. Io ricordo The Music Machine, una ex-discoteca trasformata in heavy pub, The Venue, l’indescrivibile The Marquee. Avere la possibilità di frequentarli significava respirare le tendenze a venire della musica mondiale. Era un’esperienza a metà tra il mistico e l’incredibile. In certe sere, in pochi metri quadrati, potevi vedere alcuni dei tuoi dèi sorseggiare una birra seguendo un gruppo nuovo che, magari, avresti poi visto da supporto nei loro tour, oppure astri nascenti accordarsi per suonare la sera successiva nella stessa cantina. Posso dire di aver vissuto in diretta l’accordo Phil Collen – Def Leppard, o di aver assistito al colloquio definitivo tra Bruce Dickinson ed i Maiden nel retropalco di Reading….
Se il festival di Glastonbury era la mèta dei post-hippies, se Knebworth Park era riservato ai dinosauri, il Reading Festival (un’istituzione inglese in tutto e per tutto) del 1980 e dell’81 e le prime edizioni di Donington furono esperienze che non dimenticherò mai.

Ti è capitato di vedere l’elenco delle tre giornate del Reading Rock festival del 1980, Stefano? Beh, pensa di poterlo seguire dalla gabbia stampa, dopo aver già visto quasi tutti quei gruppi suonare al Marquee le settimane precedenti….da impazzirci.
Poche immagini che mi fanno ancora sorridere, ventisei anni dopo….1981 : Rose Tattoo sul palco per 45 minuti infuocati; Angry Anderson che invita i due lati di Reading a non tirarsi le lattine tra di loro, ma, casomai, a tirarle a lui, se ne avevano il coraggio…ed una lattina da 50cc piena che lo coglie in fronte facendolo sanguinare come una fontana.

Nonostante tutto uno spettacolo favoloso…nell’80 c’era Rory Gallagher (uno dei grandissimi interpreti che qua in Italia nessuno ha mai veramente saputo apprezzare come avrebbe meritato), che tira fuori la chitarra acustica a metà di un concerto mozzafiato e zittisce 65000 scatenati che cantano con lui “Out on the western plain”…..Gli Slade di Noddy Holder, i veri interpreti rock and roll della classe lavoratrice anglosassone, che sostituiscono Ozzy Osbourne e fanno lo show della vita al punto che ancora ne parlano in Inghilterra…e poi i Maiden ragazzini un attimo prima di partire in tour con i Kiss, i Girl, i Def Leppard, Vardis, UFO, Samson….pagherei per tornare lì in quei momenti…


Nella foto: il famoso doppio palco del festival di Reading.

Nel 1986 fondasti Metal Shock. Poco tempo dopo nacque anche Flash, come costola alla rivista principale. Sono tuttora vive e vegete. Quali furono i presupposti per staccarsi da Rockerilla e creare un magazine tutto nuovo?

Questa è semplice. Da non molto avevo fatto la scelta della mia vita: lasciar perdere la mia iniziale attività di giovane avvocato e dedicarmi a qualcosa con cui avrei difficilmente mangiato ma che mi avrebbe fatto vivere in pace con me stesso. Mi ero trasferito a Roma, da Viareggio dove vivevo, per entrare a “fare”, per la prima volta, i giornali dall’interno di una redazione. La passione e l’interesse era così tanto e gli anni trascorsi in riunioni redazionali mi aiutarono nell’imparare presto il mestiere.

Sei anni prima, alla fine dell’estate, avevo acquistato uno special fotografico del NME che si chiamava Kerrang, e pensai che sarebbe stato splendido farne un giornale vero in Italia. Quel periodico – che divenne poi la miglior espressione grafica e contenutistica del rock, a mio parere – era semplicemente uno speciale esclusivamente fotografico, ma ebbe un tale successo che fu trasformato presto in quello che era il mio sogno: un giornale tutto di rock, con una grafica d’impatto, curato e intelligente nei testi e con una vena di ironia certo non latente. Lo proposi nel settembre dell’80 all’editore di Tuttifrutti, con cui collaboravo e lui, mostrando lungimiranza, me lo tirò dietro. Nell’86, quando stavo già da un paio d’anni in redazione, visto il crescente successo di HM, si decise a farmelo fare ed io, che non scrivevo più per Rockerilla da poco, credetti giusto liberare dalle pastoie cui ti ho accennato prima, i migliori amici e le migliori teste di quello spazietto angusto.

Non fu così facile, perché Beppe, specialmente, aveva remore e forse era affezionato ad una cosa per la quale aveva lottato (ricordi gli “speciali” di hard and heavy? Beh, immagino che risultassero da una sorta di presa della Bastiglia…), ma, alla fine, quelli che desideravo accettarono e voglio credere che lo fecero per fiducia nei miei confronti.
Io penso che per creatività grafica, per competenza di alcuni, per istinto e fiuto, e per la volontà di girar pagina (onestamente soprattutto mia) con gli schemi dialettici ed espositivi con cui erano scritti gli articoli e che mi parevano, ai tempi, figli di un codice tanto inviolabile quanto stupido, per dedizione e attaccamento a quello che riuscivamo a fare con pochi (giuro!) mezzi, per tutto questo ripeto, penso che i primi due,tre anni di Metal Shock siano stati una splendida avventura.

Anni dopo, da amici, venni a sapere delle riunioni redazionali che venivano fatte a “casa” HM, con il nostro giornale in mano e con susseguenti litigate e bestemmie che volavano per non essere riusciti a uscire prima di noi con la tal copertina, la tale intervista, il tal disco….

I primi numeri di Metal Shock furono memorabili: una specie di all star del giornalismo nostrano al servizio dell’heavy metal. Vai avanti tu…

…..basta continuare il discorso che facevamo due righe sopra…..il primo numero volli io che avesse Ozzy in copertina, una sorta di guanto di sfida ad HM che era uscito con il suo primo numero proprio con Ozzy Osbourne. Da qualche mese, in redazione, era arrivato un ragazzo buffo di Parma che veniva da Londra dove aveva fatto il grafico per The Face, un giornale di musica pop e tendenza che aveva un seguito immenso in Inghilterra. Si chiamava Flavio Campagna, ma preferiva esser chiamato Kam-pah. Aveva una fantasia ed un gusto raro; sapeva immedesimarsi nelle situazioni grafiche pur senza avere nozioni dei contenuti musicali di quello che stava impaginando. Fu lui a creare la veste grafica del giornale che, in brevissimo tempo, crebbe moltissimo.

Ricordo un aneddoto divertente… A copertina terminata e con le prove colori già in stampa, Beppe insistette per far pubblicare un qualcosa… una intervista ai Guns and Roses, forse, che avevo recuperato da Silvie Symmons, una nostra collaboratrice di Londra. Non sapevamo cosa tagliare, ma soprattutto non sapevamo come farli entrare in copertina. Non c’era spazio. Gli “strilli” erano in ordine decrescente, a epigrafe, e l’ultimo era IQ, un gruppo progressivo. Così uccidemmo loro, inserimmo il nome dei Guns, ma non sapevamo come tagliar via la sigla degli IQ. All’epoca si impaginava ancora tutto a mano, i Mac ed i pc sarebbero arrivati solo due anni dopo, così Kampah ebbe un’idea : mettiamoci un pipistrellino a tappare il buco del nome IQ…… Quel pipistrellino, dal numero dopo, divenne il simbolo del punteggio che veniva dato ai dischi recensiti….poi modificato in coltellini con l’arrivo dei computer che non avevano il logo del pipistrello….
Kampah è poi diventato un regista di clip di assoluto rispetto, ha diretto U2, tra l’altro e realizzato sigle e spot famosissimi in America. La Coca Cola e le Olimpiadi del 2000, giusto per ricordarlo…

Ho un solo rimpianto, tutto sommato. Che MS sia finito in pessime mani, con gli anni, e che non ne sia stato sviluppato il presupposto di giornale aperto. Io nell’88 mi trasferii per iniziare a lavorare in televisione e dopo poco anche gli altri iniziarono la diaspora. Se avessi potuto continuare a lavorarci sopra, forse adesso Metal Shock si chiamerebbe solo MS o Shock e sarebbe un giornale alla Rock Classic per appassionati maturi, con tanta nostalgia per una musica che non si può più ascoltare da nessuna parte e con deferenza nei confronti di migliaia di gruppi che hanno fatto la storia della cultura giovanile di allora e di cui è oggi quasi impossibile reperire tracce se non sul web per i ragazzi che ne volessero sapere di più circa le proprie radici.

Un altro grande rimpianto è che nessuno abbia voluto (o saputo) raccogliere il testimone di una visione ironica, autoironica soprattutto, dello scrivere, cercando di ridimensionare parole e artisti, riportandoli sulla terra per quello che sono realmente, giudicandoli esseri fortunati e miliardari e soprattutto smettendo di utilizzare un linguaggio denso di etichette e superflue parole inglesi che sembrano essere il lasciapassare per scrivere di musica. Talvolta mi capita di leggere articoletti che sembrano scritti da quella macchietta dello spot del caffè….un brunch, un lunch, un coffee break…se ne incontrano di idiomi nella vita …. Semplicemente ridicoli…

Nella foto: la copertina del primo numero di Metal Shock

Quando e come finì la tua permanenza a Metal Shock?

Nell’ottobre del 1988 tornai in Toscana, tra i monti della Garfagnana, dove un poco oculato editore aveva posto la sede di una tv nazionale, Videomusic, in tempi in cui esistevano solo il telefono ed il fax e che la spostò a Milano non appena arrivarono internet ed il digitale….riuscii a mantenere il controllo…vogliamo chiamarlo così?…del giornale per poco, diciamo un annetto, il periodo in cui continuavo a bazzicare Roma per terminare il mio contratto in Rai, poi ne persi i riferimenti. Flash iniziò come uno speciale fotografico e poi finì in mano a Klaus, un collaboratore di Metal ed un amico, che ne fece una sorta di ragione di vita. Che piaccia o meno, con i mezzi che so di cui dispone Klaus, non si può certo dire che sia un giornale abbandonato a se stesso, come, invece, mi pare oggi l’altro.

In quel periodo andava per la maggiore anche un’altra rivista, peraltro molto ben fatta, nata qualche tempo prima. Mi riferisco ovviamente a H/M. Che ricordi hai a riguardo?

HM nasceva all’interno del medesimo gruppo editoriale di Ciao2001 e questo era, per me, motivo di scadente giudizio. Posso dire che l’unico, o quasi gruppo editoriale per cui non ho mai collaborato sia proprio quello. Nessuna motivazione in particolare: semplicemente il loro approccio alla musica non mi piaceva. Sapevo che i ragazzi che facevano il giornale, un paio specialmente, erano brave persone, simpatiche e disponibili, ma la maggioranza degli articoli erano sgrammaticati e scritti da collaboratori improvvisati. Lo so, questo è il vero tumore della editoria specializzata italiana : si scelgono ragazzini desiderosi di vedere il proprio nome in calce ad un articolo e, dato che non li si paga un centesimo, non ci si cura di quello che scrivono e di come lo scrivono e, soprattutto, in base a quali fonti di informazione.

Esperti rock di diciotto anni. In questo modo si pubblicano giornali, è vero, ma non se ne vendono. Si incassano, se si è furbi e bravi, i contributi statali, ed è per questo che le edicole sono piene di schifezze mal scritte, mal impaginate, mal pensate. E non parlo solo di editoria musicale. Da HM ricordo che ebbi anche una loro proposta per andare a occuparmene, ma conoscendo lo stile di pagamento dell’editore, non soffrii molto a dirgli di no. Sai, Stefano, quando si sceglie di campare di quel mestiere, è necessario fare i conti ogni volta che si riceve una proposta, in barba ai sentimenti ed all’istinto. HM, a mio parere, era comunque graficamente molto infantile e banale. E la differenza dei target di Metal Shock e HM era evidente.

Fosti anche corrispondente dall’Italia per la influente rivista inglese Melody Maker, oltre ai settimanali New Musical Express e Time Out. Che ricordo hai di quell’esperienza? Come hai vissuto quella sorta di snobismo della stampa inglese nei confronti delle band HM italiane del periodo?

L’editore di TF, Massimo Bassoli, ex-direttore di Rockstar ed ex- una dozzina di altre cose, aveva imparato da molti anni a fidarsi di agenzie inglesi o americane di giornalisti. Costano di meno, specialmente se non ne chiedi l’esclusiva, e scrivono meglio e con maggior cognizione di causa : loro vivono quello di cui scrivono, non parlano della west coast senza essere mai usciti da Cusano Milanino… L’agenzia S.I.N. che non so se esista ancora, era una delle migliori.

Mi chiese cortesemente di inviargli qualche corrispondenza dall’Italia quando i loro gruppi venivano in tour da noi prima che da loro, in modo da avere l’anteprima da vendersi in Inghilterra. Durò un paio di anni e guadagnai più lirette di quanto ne potevo immaginare all’inizio. Divertendomi a scrivere con occhio italiano la musica inglese…usavo uno pseudonimo che poi mi venne comodo quando ebbi a pubblicare, anche in tv, storie che non facevano piacere a tanti…ma questo te lo dirò in privato, eh?

Mai scritto di gruppi italiani per loro, non gli interessava e ne comprendevo le ragioni. Perché occuparsi di quattro mangiatori di spaghetti che scimmiottavano in atteggiamenti e suoni…i Judas Priest o i Led Zeppelin, i Metallica, quando loro avevano lì gli originali? Questo non è snobismo è realtà. L’Italia non ha tradizioni rock e quello che ha saputo proporre, dai sessanta in poi, non è stato altro che imparare a tradurre canzoni famose in lingua locale. I favolosi sessanta, per dirla alla Minà o alla Red Ronnie, non sono mai esistiti anche se dirlo manda in crisi tre quarti della discografia e degli artisti italiani : tutte le canzoni pop rock dell’epoca erano mere traduzioni.

Solo nel periodo del progressive rock l’Italia ha saputo sviluppare una propria linea creativa che, difatti, ha ripagato ampiamente il coraggio. Molti di quei gruppi hanno ancora una valenza europea e sono oggetto di culto. Tutto ciò che è stato fatto in seguito, a mio parere, merita rispetto per lo spirito di avventura ma non può certo essere proposto in un’ottica internazionale. Forse, dico forse, se ai ragazzi degli anni ottanta/novanta si fosse parlato chiaro e li si fosse saputi indirizzare, bacchettandoli quando necessario, spesso, dunque, e stimolandoli costruttivamente, invece di esaltarne doti evanescenti, oggi potremmo anche parlare di una via italiana al rock che io non vedo.


Nella foto: insieme di manifesti in una qualsiasi strada di Londra, 1980. Da notare sulla sinistra quello del Monsters of Rock con Rainbow, Saxon e Riot (tra gli altri).

Passiamo ora alla radio. Conducesti dal 1987 al 1988 Stereodrome, programma serale di Radio Rai Due. Quanto c’è di vero riguardo i condizionamenti musicali ai quali si deve sottostare per trasmettere nella radio nazionale? Ti hanno magari morbidamente invitato a trasmettere poco HM?

Assolutamente no, anzi. Io ho avuto la fortuna proprio di occupare uno spazio dedicato al Rock ed ero pagato per quello. La realtà è che le radio private, in Italia, non hanno né coraggio, né creatività, né cultura musicale. Per assurdo, la Rai ne ha avuto molto di più. Le radio attuali utilizzano playlist fotocopiate per garantirsi l’appoggio delle grandi case discografiche le quali, da parte loro, non vedono al di là del proprio naso e non hanno direttori artistici in grado di distinguere i fiori in mezzo alla cacca. Le eccezioni sono pochissime e stanno sulle dita di una mano.

Nulla li distoglie dai loro schemi lavorativi, neppure il fatto che quando in Italia c’è stato spazio per un po’ di rock in tv (Videomusic e lo dico a testa alta anche perché pochi hanno cognizione di quanto sia stato fatto, dato che l’hanno sempre guardata distrattamente, di giorno, anche per colpa di una mancanza totale di autopromozione e di un ufficio stampa, ma questo era ciò che l’editore passava!), in radio (Radio Rai soprattutto) e sulla carta stampata (…ne stiamo parlando…) si è pure riusciti a vendere 190.000 copie di “Appetite for destruction” un anno e mezzo dopo (!) la sua uscita. E per l’Italia sono numeri da paura! Il fatto che Aerosmith, Pearl Jam, Nirvana e molti altri siano stati successi di vendite anche grazie a chi li ha saputi proporre, ai manager discografici non dice nulla.

Così, invece di offrire musica rock che abbia alle spalle anche una cultura di riferimento, ci dobbiamo accontentare di una radio che spaccia il rock così come è proposto il pop più scadente, senza possibilità di evoluzione alcuna…una tristezza senza fine…

Ti voglio rubare un po’ di spazio per uno scampolo di memorie di un vecchio disutile. Tra i miei dieci,dodici anni e i miei venti abbondanti, in radio Rai c’erano spazi meravigliosi dove era possibile ascoltare (ascoltare, non sentire!!) eccellente musica e farsi un proprio gusto. Mi ricordo di serate intere trascorse con le orecchie incollate alla radio e con un microfonino in mano – sì, certo, riuscii poi anche ad evolvermi al cavetto! – per catturare le canzoni che più mi piacevano…. Così Hendrix, Sabbath, Jethro Tull, Vanilla Fudge, Led Zeppelin, CSN & Y, Ten Years After, The Who e qualche altro migliaio di perle mi entravano nel cuore. Dove e come è ancora possibile tutto questo?

Se Kurt Cobain scrivesse oggi “Smells like a teen spirit”, dove la ascolteremmo? O “Enter sandman” ? “Alive” ?
Due parole poi, giuro, chiudo….ieri parlavo con un amico, un coetaneo. Mi raccontava di essere disperato perché il figlio, tredicenne, non aveva la possibilità che avevamo avuto noi di farsi un proprio gusto. Così lui lo ha portato a vedere un paio di concerti, iniziando in modo non problematico. Lo ha portato a vedere Springsteen, un classico che non mi fa impazzire, ma sarebbe stato difficile partire dai Bolt Thrower, no? Beh, il giorno dopo il ragazzino si è andato a cercare i testi in inglese, ha approfondito alcune canzoni ed ha scritto un tema in classe di cui il padre è andato fiero e che ha stupito professori e compagni di classe. Possibile che il “fai da te” sia l’unica via rimasta per mantenere viva la cultura rock?

Altra fonte di tue innumerevoli esperienze è la televisione. Sei stato responsabile del palinsesto e della linea editoriale di VideoMusic e di Tmc2 rispettivamente dal 1988 al 1994 e dal 1995 al 2000. Immagino che di cose da dire ce ne siano a migliaia… se possibile riferisci solo quelle in relazione, in qualche modo, all’HM.

Ne ho già accennato sopra. Ti dirò molto brevemente che, quando sono entrato a VM, ho ereditato una situazione totalmente in mano alle case discografiche e che, pur dovendo fare i conti con loro, sono riuscito anche a ritagliare spazi nella programmazione di assoluto valore culturale e artistico, senza perdere una lira di fatturato, anzi….

Ho fatto produrre centinaia di concerti all’anno e realizzato altrettanti speciali. Siamo stati i primi in Europa a riprendere i Nirvana, nel 1991, ed i Pearl Jam, l’anno successivo. Abbiamo proposto i Guns, i Manowar, Metallica, il Freddy Mercury Tribute, l’anniversario della Atlantic con la riunione dei Led Zeppelin, abbiamo supportato e prodotto Sonoria, il primo, vero, grande festival italiano e promosso e ripreso per dieci anni il Pistoia Blues Festival….e non farti fuorviare dalle etichette, Steve….si tratta di musica eccellente.

Ora non esiste più nulla, neppure il ricordo di quell’epoca, anche se io resto dell’opinione che quello sia stato un periodo molto creativo e valido per la tv giovane in Italia. Niente a che fare con l’MTV plastificata per bambini di oggi.

Riguardo VideoMusic, toglimi una curiosità: di chi fu l’invenzione del personaggio Kleever? (Un deejay inglese disadattato che conduceva la trasmissione tutta HM Heavy con Kleever).

Kleever fu inventato da Clive Griffiths stesso ed aveva un successo incredibile. Lui stesso ne era sorpreso , dato che, con gusto molto inglese quale Clive è, guardava all’HM con superiore distacco. Ma i ragazzi che lo seguivano lo prendevano molto sul serio…forse non avevano sufficiente senso dell’humor per capire che si trattava di uno scherzo che serviva a confinare un po’ di video rock in un medesimo spazio. Kleever, comunque, risale veramente ai primordi di Videomusic ed io non l’ho vissuto, se non di riflesso.

Intorno al 2001 fosti all’interno della Direzione di rete dello start-up di DEEJAY TV, televisione satellitare del Gruppo Espresso. Che ricordi hai di quell’esperienza?

Scadenti, se non pessimi. L’azienda era una grande azienda con enormi possibilità e budget, quindi c’erano tutti i presupposti per fare un eccellente lavoro; i nomi con cui avrei lavorato erano presentatori radiofonici di prim’ordine, almeno dal punto di vista della professionalità. Il guaio fu che mi trovai in una situazione surreale, dove un’intera struttura viveva in quotidiana soggezione del Capo, Linus, che gestiva la radio – e di conseguenza, come responsabile artistico, anche la nascente tv – con l’istinto del padre-padrone.

Non che io sia contrario alle forti personalità, ma esse hanno una valenza ed un proprio motivo di esistere quando siano in grado di dettare la via al resto del gruppo….il saggio che indica la luna, no? Non era questo il caso. D’altra parte non è detto che un eccellente giocatore di basket possa essere un decoroso giocatore di pallavolo. E la radio sta alla tv come il culo alle quarant’ore, dicono in Toscana…Una sola considerazione: da radio Deejay sono nate diverse professionalità nel mondo della televisione; personaggi che non fanno più parte dell’entourage. Al tempo stesso, alcune attuali voci di quella emittente hanno più volte tentato la stessa strada. Quanti hanno saputo farlo con pari risultati? Un motivo ci sarà.

Nella tua lunga e interessante carriera hai giustamente attraversato ambiti che c’entravano poco o niente con l’HM (mi viene in mente il quindicinale sportivo insieme con Oliviero Beha e Gianni Minà). Fondamentalmente sei sempre rimasto un metallaro nell’atteggiamento o hai in qualche modo dovuto piegarti alle scelte di business?

Io non sono un metallaro. Non lo sono mai stato, così come credo che non amerebbero definirsi tali gli altri miei amici che tu stimi. Forse non avrebbero il coraggio di affermarlo in una situazione strettamente metal come l’esser letti in questo sito web, ma posso dire che sia così. Non ho mai posseduto un chiodo, se questo è l’elemento distintivo dei metallari, né ho mai fatto headbanging o pogo.

Semplicemente sono riuscito a amare profondamente la musica che mi ha modificato la vita e che ha fatto accrescere la mia cultura personale e ampliato i miei orizzonti emotivi. Non mi sono mai sentito fuori luogo, registrando su un nastro (o un cd, oggi) un pezzo dei Metallica a fianco ad uno dei Grateful Dead o di Dylan. L’importante è che mi dessero buone emozioni dentro, che mi portassero – mi è accaduto spesso – a commuovermi per la sequenza di un lungo assolo di chitarra o per testi particolari. Non ho mai rincorso la tecnica sterile ma le emozioni, e soprattutto, non ho mai ritenuto intelligente rinchiudersi da soli in ghetti autocostruiti, come se quello fosse l’unico modo per distinguersi e non per condannarsi all’estinzione.

So che è banale, ma credo che la distinzione tra buona e cattiva musica sia l’unica veramente valida, e questa distinzione resti strettamente personale. Ritengo di essere stato molto fortunato a vivere nel momento più creativo della storia del rock e di avere avuto l’immenso dono di averlo saputo apprezzare e discernere. Per me la base di ogni buona musica resta il blues ed il rock and roll, senza questi due elementi nulla esisterebbe oggi, ed il valore che distingue un buon artista da un genio è la percentuale di personalità, di creatività, di fantasia, di interpretazione che riesce ad emergere tra le note. Il blues non l’ha inventato certo Jimi Hendrix, ma dove saremmo oggi, se lui fosse morto nel corso del servizio militare? Quanti gruppi rock avrebbero fatto i pasticceri o i baristi senza i suoi dischi? Dove sarebbe oggi il rock? Lo stesso vale per decine di altri artisti veri che hanno creato, con sette note e tanta personalità le basi della musica che continuiamo ad amare. Di questo, ogni tanto, dovrebbero provare a parlare i ragazzi che intervistano certi musicisti, forse perché sono consapevole che queste parole banali, se dette da me, diverrebbero dogma se pronunciate da altri, e non sai quanti artisti veri la pensino esattamente così.

Una volta mi sono ritenuto un giornalista, solo perché avevo una tessera in tasca e pagavo le tasse; poi, visto come l’Ordine considera i propri iscritti, me ne sono vergognato non poco. Adesso mi ritengo niente di più di una persona fortunata che ha avuto l’opportunità di fare della propria passione il proprio mezzo di sostentamento; e quando si parla di guadagnare per vivere, si è costretti, ogni tanto, a dover scendere a compromessi. L’importante è restare con la coscienza pulita e sempre in credito con i tuoi interlocutori. Io lo sono, da sempre.

Sei stato uno dei protagonisti delle televisioni satellitari in Italia. Cosa ne pensi di Rock Tv, contenitore che viene trasmesso all’interno della piattaforma Sky?

Parli della rete del figlio di Galliani ? Potrai anche non crederci, ma l’ho vista una sola volta, una sera. Non mi permetto di giudicarla, anche se, devo ammettere, che c’è stato un momento in cui mi sarei aspettato di ricevere una telefonata da qualcuno dei promotori; un contatto se non altro di stima, laddove non professionale, dati i miei trascorsi.

Ne sarei stato onorato ed io, in tutta sincerità, al loro posto, l’avrei fatto. Non tanto per chiedere aiuto, quanto per esser certi che il progetto andasse a buon fine – visto che avrebbe dovuto trattarsi di fans del genere – garantendomi la consulenza di un….beh, senti, mi permetto di dirmelo da solo…esperto del settore, oltre che appassionato sincero. Ma evidentemente, a chi può alzarsi una mattina e chiedere a papà di aprirgli una tv per trascorrere il tempo libero tra una partita del Milan e l’altra, va bene così…..peccato. Per tutti.

Hai avuto anche un ruolo di protagonista come organizzatore artistico e produttore televisivo di concerti: mi vengono in mente il Freddy Mercury Tribute del 1992 da Wembley, Elton John dall’Arena di Verona, gli Eurythmics al Palasport Eur di Roma e il Nelson Mandela Tribute da Londra. Eventi di sicuro livello mondiale… Racconta qualcosa.

Uhmm…nell’elenco ci sono prodotti che abbiamo portato a termine autoproducendoli, ed altri che abbiamo co-prodotto o acquistato aggiungendo una extra-produzione personalizzata…un po’ come nelle partite di calcio prodotte all’estero…organizzare gli Eurythmics al Palaeur o Elton John all’Arena di Verona non è stato sostanzialmente diverso che produrre Pearl Jam in una discoteca di Milano. La differenza sta tutta nei budget e nelle richieste artistiche, nelle necessità tecniche. La cosa che più mi fa soffrire è il Freddy Mercury Tribute dal Wembley Stadium, una megaproduzione che venne acquistata con link in diretta e con esborsi, per noi, a livello Nasa, che curammo con mille attenzioni.

Il cast era d’eccezione, se ben ricordi, ed io avevo riposto cura speciale nell’organizzazione generale, anche redazionale. Mi ero convinto che sarei stato io a commentare dallo stadio l’intero spettacolo, data anche la mia estrazione musicale. Poi uno stronzo qualunque decise, per farmi un dispetto, che avrebbe fatto il commento in voce Massimo Villa, personaggio preparatissimo e storico del rock radiofonico, un soggetto di tutto rispetto, anche mio personale, ma distante anni luce, come interessi, nei riguardi di quello che sarebbe accaduto su quel palco. Così mi ritrovai in studio, con la cuffia in testa, a giocare a fare il Boncompagni con Ambra, dettando a Massimo dal “quattro fili”quasi tutti gli interventi e le informazioni per quello che era, in quel momento…. un eccellente speaker radiofonico nel posto sbagliato…


Nella foto: Giancarlo al festival di Reading del 1980.

 

Gusti Personali
Qual è stato il disco che al primo ascolto ti ha fatto sobbalzare sulla sedia, quello che ti ha stregato per sempre?

“Over-nite sensation” delle Mothers of Invention di Frank Zappa. Forse…. In verità non credo che sia esistito un solo disco che mi abbia mutato la vita e condizionato i gusti. Si è trattato di una formazione molto lenta, come ti ho raccontato, iniziata in età veramente infantile. Però, devo ammettere che l’amore per Zappa abbia condizionato, alla lunga, di molto i miei gusti.

La complessità strutturale della sua musica, l’estrema varietà degli stili, la grandezza delle composizioni del personaggio, la fantascientifica cura degli arrangiamenti e della scelta dei musicisti, la sconfinata ironia della musica e dei testi, devo dire che in molti modi hanno indirizzato le mie emozioni ed i miei comportamenti. Della sua opera condivido tutto, anche l’indimenticabile frase sul giornalismo musicale: “Gente che non sa scrivere e che intervista gente che non sa parlare per gente che non sa leggere”…

Qual è stata la band che ti ha fatto diventare un appassionato di hard’n’heavy?

Se devo citarne una sola, dico Led Zeppelin, i più grandi in tutti i sensi. Se posso aggiungere un genio, direi Hendrix. Se potessi sparare un po’ di nomi, scriverei Black Sabbath, Deep Purple, Who, Jethro Tull, EL &P, Cream, Mountain, Wishbone Ash, Ted Nugent, i Free, solo per citare i più noti.

 

Giancarlo Trombetti e Beppe Riva

 

Insieme a Beppe Riva ai tempi di Rockerilla sei sicuramente stato un generosissimo propulsore per la nascita della Nwoihm: quali band ricordi con piacere di quegli anni?

Ti prego: non mi mettere in difficoltà. Ho detto e neppure tra le righe il mio parere definitivo sui ragazzi del metal italiano. Però vorrei ricordare quelli che, per simpatia e per qualità, mi sono rimasti nel cuore : la Strana Officina dei due Cappanera. Loro sono stati, per dedizione e simpatia un bel pezzo sopra chiunque altro. E se ho peccato di vigliaccheria nel non dire apertamente ciò che tanti meritavano di sentirsi dire, faccio ammenda oggi.

Segui ancora la scena HM?

Ti rispondo come un amico mi ha scritto pochissimi giorni orsono : “…io non sono più come Badino che riesce ancora ad esaltarsi alle prime note dell’ultimo disco dell’ultimo gruppetto inglese…”. Ci provo, Stefano, ci provo, ma mi riesce sempre più difficile apprezzare senza scivolare nei confronti con il passato che si stanno facendo proporzionalmente sempre meno evitabili, con il trascorrere degli anni…trovo i gruppi di oggi o assolutamente infantili o totalmente schiavi del passato. Tal David Gilmour, chitarrista in un gruppo chiamato Pink Floyd, ebbe a dire : “…perché noi eravamo migliori? Perché noi guardavamo al futuro, adesso i ragazzi guardano solo al passato…”. Riusciresti a dire che non è vero?

Adesso Giancarlo ti chiedo un ulteriore sforzo: forniscimi a tuo parere i dieci più grandi dischi di sempre dell’HM.

Non è solo uno sforzo è una follia. Io non ho gusti esclusivamente metal (se così vuoi chiamare l’hard rock) e non ho mai vissuto solo di watt. Se ti elencassi dieci dischi a caso violenterei le mie radici e farei un torto a centinaia di gruppi che mi aiutano ancora a trascorrere momenti splendidi, in auto o nella pace del mio studio. Ho due possibilità : non rispondere o farlo in modo anche eccessivamente articolato, se vuoi, ma, nonostante tutto, rispettoso delle mie passioni. Facciamo così: io ti darò alcuni gruppi di artisti che hanno valenze e estrazioni diverse. Per te, forse, o per molti fanatici del solo metal sarà tempo perso leggerseli. Per me tutto avrà maggior senso logico e, soprattutto, una naturale sequenza evolutiva.

Sarò palloso, ma a mio parere, senza alcuni gruppi ed alcune esperienze degli anni sessanta e settanta, nulla sarebbe accaduto negli anni ottanta e successivi e nessuna “nuova ondata” ci sarebbe stata. Capisco anche perfettamente che per un ragazzino cresciuto negli anni ottanta, parlare degli Iron Maiden corrisponda a trattare allo shock che subimmo tutti nel 1969 ascoltando per la prima volta “Whole Lotta Love” degli Zep….
Abbiate, quindi, un po’ di pazienza, o un po’ di comprensione…ma perché abbiate chiara la mia sequenza mentale….per me non sono alla base di tutto gli Slayer o i Metallica, ma i Black Sabbath….oppure non certo i Twisted Sister o i Motley Crue, ma i T.Rex o gli Sweet, forse David Bowie, forse le New York Dolls…

DISCHI “SENZA I QUALI”…

AEROSMITH : Rocks 1976
CREAM : Wheel of fire 1968
BLACK SABBATH : Black Sabbath 1970
BLUE OYSTER CULT : Secret Treaties 1974
ALICE COOPER : Welcome to my nightmare 1975
DEEP PURPLE : Made in Japan 1972
E,L & PALMER : E,L & P 1970
JETHRO TULL : Aqualung 1971
TED NUGENT : Ted Nugent 1976
THIN LIZZY : Live & dangerous 1978
UFO : Strangers in the night 1978
JIMI HENDRIX : Electric Ladyland 1968
IRON BUTTERFLY : In-a-gadda-da-vida 1968
JUDAS PRIEST : Sad wings of destiny 1976
LED ZEPPELIN : I e II 1969
MOUNTAIN : Flowers of evil 1972
NEW YORK DOLLS : NYD 1973
RUSH : Fly by night 1975
WISHBONE ASH : Argus 1972
URIAH HEEP : Very’eavy very’umble 1969
STEPPENWOLF : Live 1970
THE WHO : Live at Leeds 1970
LYNYRD SKYNYRD : Pronounced Leh’nerd skin’nerd 1974
ALLMAN BROTHERS BAND : Live at Fillmore 1970
RORY GALLAGHER : Live in Europe 1972
TEN YEARS AFTER : Undead 1968

Ognuno di questi album ha una valenza fondamentale nella crescita di un genere che rappresenta il meglio di ciò che il rock and roll può rappresentare in fatto di emozioni. Ce ne sarebbero altre mille, specialmente sul versante americano, ma forse ci allontaneremmo ancora di più…ma come non ricordare i miei amori folli per Jefferson Airplane, Grateful Dead, James Gang, Quicksilver Messenger Service, Hot Tuna, Johnny Winter, o i grandi sperimentatori …..Frank Zappa, Miles Davis, i tedeschi Faust, i Gong di David Allen, i Pink Floyd, i King Crimson…..

Poi una selezione di coloro che hanno dato vita ad un personale rinnovamento di vecchi stili, se vuoi, inserendo una propria valenza ed originalità; quel che tu chiameresti, immagino, le basi dell’heavy metal…e delle sue varie ramificazioni. In alcuni casi sono i loro top, più che album capofila….

AC/DC : Back in black 1980
ANGELWITCH : Angelwitch 1980
MANOWAR : Into glory ride
FAITH NO MORE : The real thing 1989
DEF LEPPARD : Hysteria 1987
VAN HALEN : Van Halen 1977
TESTAMENT : The legacy 1987
RHCPEPPERS : Uplift mofo party plan 1988
MOTORHEAD : No sleep ‘till hammersmith 1981
MEGADETH : killing is my business 1985
METALLICA : And justice for all 1989
LIVING COLOR : Vivid 1988
IRON MAIDEN : Iron Maiden 1980
JANE’S ADDICTION : Nothing’s shocking 1988
PEARL JAM : Ten 1992
OZZY OSBOURNE : Diary of a madman 1981
GUNS AND ROSES : Appetite for destruction 1987

…..però, ti prego, fammi domande meno imbarazzanti e difficili cui rispondere…

Hai conosciuto di persona tanti musicisti metal nella tua carriera. Sicuramente avrai avuto qualche delusione mentre in altri casi hai dovuto rivedere la tue posizioni. Vuoi parlarne?

Le delusioni sono state tutte iniziali, quando credevo di poter parlare con qualcuno che avesse qualcosa da dire. Poi, quando mi sono abituato, il senso di sofferenza è scemato. Parlare solo di musica con rocchettari in promozione è divertente quanto mangiare un gelato sciolto. Spesso, devo riconoscere, è stata colpa mia, perché non ho saputo cogliere tra le righe l’attimo per parlare di argomenti più interessanti per entrambe le parti….anche se assolutamente poco interessanti per la casa discografica coinvolta e sempre incombente in quei casi….

Qualche esempio di vita per strada? Incontrai Lou Reed in promozione. Un attimo prima di sedermi davanti a lui, il promoter della Warner mi disse: “Mr Reed non parla di droga, non parla di sesso e di omosessualità, non parla dei Velvet e di John Cale, non parla dei dischi precedenti. Vuole parlare solo dell’ultimo album.”. Così attesi Mr Reed con il cameraman che preparava tutto. Poi, quando Lou si mise a sedere, gli dissi : “Ho ricevuto l’elenco degli argomenti che non possiamo toccare; dato che dovremmo parlare del suo nuovo disco che la label mi ha tenuto nascosto e mi consegnerà solo tra una settimana per evitare rischi di duplicazioni dato che non si fida degli italiani, io direi di rivederci tra una dozzina di giorni…le va bene qua alla stessa ora?”, e mi alzai, con Reed imbarazzatissimo. La sera ci incontrammo al ristorante in albergo e nonostante ci fosse il tipo della Warner al seguito, chiacchierammo tutta la sera di sciocchezze di ogni genere. Lui non è mai stato un tipo simpatico, ma ne venne fuori una splendida discussione che trasformai in una eccellente intervista.

Una quindicina di anni fa fui “costretto” ad andare nel camerino di Robert Plant per trattare le riprese del suo concerto. Era un mio idolo giovanile, ma ne avevo sentito parlare malissimo in quanto a carattere. Lo trovai nel backstage che si stirava da solo una camicetta. Mi venne incontro, mi strinse la mano tendendola per primo (non accade spesso) e mi offrì succo d’arancia scusandosi di non avere alcolici. Da buon astemio, ringraziai. Fu di una cortesia unica e rara e di una disponibilità inattesa. Due anni dopo lo suggerii vivamente agli organizzatori del Pistoia Blues con cui ero in buoni rapporti. Fu la miglior serata di pubblico in dieci anni.

Sorprese in positivo furono Nicko Mc Brain dei Maiden, simpaticissimo e curioso, Rory Gallagher, un vero signore d’altri tempi, due ore e mezza di intervista!, e Ray Davies dei Kinks, con cui riuscii a parlare di centinaia di altri gruppi ottenendo sempre un parere logico e professionale, altra cosa rarissima da ottenere…Ozzy meriterebbe un discorso a parte, ma potrai immaginarti da solo quali argomenti lo stimolassero maggiormente…veramente molto divertente e alla mano, se sobrio. La maggior parte degli altri, più giovani erano e peggio risultavano gestibili. Meglio non far nomi. Sarebbe inutile.

Nella foto: Giancarlo Trombetti oggi.

 

Forniscimi il tuo pensiero spassionato sulla situazione dell’editoria HM in Italia sia su web che su carta stampata. Secondo te quest’ultima ha un futuro in un mondo dominato dalla tecnologia e da internet in particolare?

Dicono che internet stia uccidendo le star della carta stampata. Io non ci credo. Il web ha una sua valenza precisa nell’informazione immediata, ma se solo esistessero giornali degni di essere chiamati così, verrebbero acquistati, portati a casa e collezionati. Alla carta ti affezioni, così come ti affezionavi alle meravigliose copertine degli album in vinile. Non puoi infilare nella tua libreria un sito web, così come non puoi considerare un amico quel pezzetto di carta dentro un pezzetto di plastica. Se alla carta stampata non ti affezioni più, vuol dire che è colpa di chi non sa fare più i giornali. Sta soprattutto agli editori scegliere chi è in grado di produrre il meglio, e non è detto che il meglio sia sempre a costo zero, anzi, tutt’altro.

Mi dicono che l’edizione italiana, l’attuale, di Rolling Stone stia vendendo decorosamente. L’ho acquistato qualche volta, ma ho trovato i testi, la dialettica, troppo volutamente volgare. Sono toscano, difficile farmi arrossire, ma certi termini non si utilizzano per sembrare più giovani agli occhi di chi lo è sperando di truffarlo. O giovani si è davvero o non c’è nulla da fare. E chi scrive lì sopra, ha i suoi annetti. C’è differenza tra l’essere giovanili e risibilmente giovanilisti.

Ma se parli di editoria strettamente metal, salverei solo la linea di Flash e la passione di Klaus, eccezion fatta per i due terzi dei suoi collaboratori, ma quella, forse, non è colpa sua. O, almeno, diciamo solo sua…

A tuo avviso l’heavy metal in tutte le sue sfaccettature ha già detto tutto quello che doveva dire? Pensi che non ci sia più niente da inventare?

Forse no. Probabilmente non c’è più nulla da inventare in un mondo che ha scelto di ghettizzarsi da solo, finendo con l’asfissiarsi, ma esiste sempre la speranza che siano la fantasia e la creatività a fare la differenza. I Primus , i Masters of reality, Soundgarden o la scena di Seattle hanno saputo rendere,a loro modo, una lezione già sentita. Ma si è trattato di una buona esperienza, no?

Dopo tanti anni di fruitore di musica la tua “fame” si è ridimensionata oppure ha assunto forme diverse? Hai mai avuto dei periodi di “stanca” (inteso come affievolimento dell’interesse) nella tua carriera?

Beh, sì, certo. L’interesse cala quando altri problemi di vita hanno il sopravvento, oppure quando, più semplicemente, il periodo è di vacche magre….e non emergono gruppi interessanti. Allora ci si rifugia nei classici, che, peraltro, non passano mai di moda, dato che ce li ripropongono periodicamente in tutte le salse e con tutte le scuse: ricorrenze, celebrazioni, digitalizzazioni, nuovi impacchettamenti.

Ma se quel che vuoi sapere è se mi sono mai allontanato dalla musica, certamente, questo, no. La musica resta sempre la scansione metrica ideale del mio tempo. In questo periodo stravedo per un gruppo composto da vecchi rocker e che meriterebbe di essere conosciuto per lo stile e l’approccio “da fan” che ha alla musica che esegue. Sono i Government Mule di Warren Haynes. Sul web è facilissimo scaricare decine, centinaia, di cover di…chiunque…tutte eseguite con un rispetto ed uno stile che trovo oramai rarissimo da riscontrare.

E’ bello sentire Lynyrd Skynyrd, Free, Traffic, Dead, Zappa, Humble Pie, Sabbath e mille altri, citati con affetto e non con gelosia. Una band da gustare. Non vedo l’ora di seguirli dal vivo il luglio prossimo, in Italia….così come mi permetterei di suggerire di andare a vedere la band dei fratelli Ahmet e Dweezil Zappa che eseguono la musica del padre. Con Terry Bozzio alla batteria e Steve Vai alla chitarra, Napoleon Murphy Brock alla voce, sarà un evento a fine maggio…

Ultimo pensiero: aggiungi tu quello che vuoi…

Ti ringrazio della bella opportunità che mi hai regalato di riportare alla mente ricordi piacevoli……ma quante noiose banalità avrò scritto in queste pagine ed in quanti saranno in grado di perdonarmele? Tu?…..

Bella questa! A parte gli scherzi, grazie infinite per la cortese disponibilità.

Stefano “Steven Rich” Ricetti

 

 

 

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