Avantgarde

TrueMetalStories: Solefald, gli scaldi della red music

Di Tiziano Marasco - 15 Giugno 2016 - 7:00
TrueMetalStories: Solefald, gli scaldi della red music

TrueMetalStories: la rubrica in cui presentiamo band giovani e pronte a sfondare, o band di lungo corso che ancora non hanno ricevuto il successo che meritano.

Unfassbare Sonne, scheine!

La vita, la morte, l’eterno ritorno, il ciclo del tutto, il sole nero del Ragnarök e Skoll, il lupo che alla fine del mondo divorerà il sole vero, decretando la fine dei tempi. Nietzsche, Schopenauer, Céline Dion, Munch. E due quadri di Kittelsen, artista norvegese a noi noto essenzialmente per essere l’autore – suo malgrado, essendo deceduto nel 1800 – delle copertine burzumiane degli anni ’90 (Filosophem, Hvis Liset tar Oss etc.). I due quadri si chiamavano Solegald (alba, sorgere del sole) e Solefald (tramonto, scendere del sole).

Ecco, nel 1995 due studentelli simil diciottenni di Kristiansand, particolarmente attirati dal vino, lo utilizzarono come nome della loro band. Tutto il resto sarebbe finito nei loro dischi. Erano nati i Solefald (Sùlefald secondo la dizione accademica da essi stessi più volte diffusa).

Ma chi erano questi?

L’uno, detto Cornelius von Jakhelln, aveva una capa tanta, era innamorato di filosofia ed esistenzialismo, sapeva suonare chitarra e basso ed aveva uno scream acuto e brutalone, come il miglior Dani Filth – che pure avrebbe adottato quello scream solo in seguito. L’altro, detto Lars Are Nedland… dell’altro non sappiamo molto, ma sicuramente amava già il vino, aveva una megavoce pulita e suonava le tastiere.

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Si conobbero, si stettero vicendevolmente simpatici, si misero a fare Black metal. Ma non proprio canonico. Uscì, l’anno dopo, un Ep di 5 pezzi, Jernlov (Legge di ferro). Questo Lars era parecchio  come abile al clean, si era detto. Sicché, sebbene motore immobile del tutto fosse Cornelius, e sebbene il black non sia particolarmente propenso alla melodia, le linee vocali sofferenti e grandiose di Lars, in quell’Ep, ci finirono. Ma questo, come si dice, fu solo l’inizio, col debut le cose sarebbero andate ancora oltre. Il 1997, in effetti, fu la volta del grande salto. La chance fu data, strano ma vero, dalla nostra mitica Avantgarde records, che al tempo produceva un altro gruppetto di belle speranze. Venivano dalla Svezia e si chiamavano Katatonia, ma questa storia la lasciamo ad altri. A dirla tutta, quella storia la sentirete presto, ma torniamo in Norvegia, torniamo a quell’album.

Quell’album si chiamava The Linear Scaffold ed era un disco che non si era mai sentito e non si sarebbe mai più sentito, un  unicum anche per una band folle come quella oggi sul piatto. Perché mai? Prendete il black – che al tempo, si è detto, non era particolarmente incline alle evoluzioni – e fottetevene dei quattro canoni del genere. Montateci tastiere liquide e vagamente gotiche, atmosfere umide, i cori di cui prima. Date alle 8 tracce una struttura particolarmente progressive, o, se preferite, proprio alla cazzo di cane – non una struttura fissa, magari dei ritornelli qua e la, ma soprattutto contrasti atroci tra furia e quiete, tra apollineo e dionisiaco. Filosophical Revolt, When the Moon is on the Wave, Countriside Bohemians, tutte tracce che diventano degli instant classic per quei pochi che hanno la fortuna di ascoltare il debut di Lars e Cornelius.

Questo fu The Linear Scaffold, il Patibolo Lineare, una delle Rapsodie in Blue del metal made in Norway (assieme, sicuramente, a La Masquerade Infernale degli Arcturus). Come definire questo sound, che era black, ma non troppo, era jazz, ma parecchio contaminato, era tutto e il contrario di tutto, era fuori dal tempo, era unico.

Messo alle strette il buon Cornelius, che probabilmente aveva si era fatto dar suggerimenti nei suoi colloqui con Odino, Berlioz e Sartre, lo definì “Red music with Black Edges”.

“Cornelius, che ti sei fumato?”

Così rispose

La nostra musica è iniziata con grida di dolore e esplosioni di blastbeats, mescolati con altre porzioni di sentimento. “Red music with black edges” è un tentativo di mettere qualcosa di rosso in tutto il nero che ci circonda, in particolare nel mondo della musica. Si tratta essenzialmente di una rivolta contro ciò che sentiamo, l’ingiustizia esistenziale. L’ordine mondiale, per così dire. Forse non possiamo cambiare tutto, ma possiamo cambiare 39:21 minuti della vita personale di qualcuno.

E a cambiare la vita ci riuscirono. Altrimenti non saremmo qui ora a rivedere questo articolo su un treno da qualche parte tra Brno e Bratislava. Al tempo l’album ebbe un discreto successo e la band si imbarcò nel suo primo tour europeo, nel quale, si dice, il Nedland ebbe a spadroneggiare tra club rumeni e Valacchian beaches (quella di Contsnţa probabilmente).

Valacchian beach che segnò quei giovini Solefald, tanto che finì per comparire nel loro secondo capitolo discografico, Neonism. Album che uscì al tramonto del millennio e che, ovviamente, non seguì la falsa riga del Linear Scaffold e, come da titolo, si rivelò anche più avanguardista, iconoclasta nel senso più totale del termine.

Un disco che ingoia la luce solo per vomitare tenebre qualche minuto dopo… in un cesso pubblico rotto. Un disco spettacolare, senza remore né regole, che va ancora oltre le contaminazioni sentite nel primo episodio discografico. Proprio come dicono loro stessi in quello che è l’autentico manifesto del disco, “Speed increased to Scaffold”. Tutto è sperimentazione, persino i clean sono mezzo urlati. La matrice metal domina, ma ci si trova veramente di tutto. Dal black metal hip-hop di CK Chanel n.6 alla mistica elettronica di Backpapababa non si capisce nulla, si è costantemente sballottati. Fino ad arrivare a qualcosa di inafferrabile come “Omnipolis”, che parla di sesso nel futuro, ma lo fa in francese, segno probabile che il buon Jakhelln al tempo avesse  iniziato i suoi studi di Philosophie e Lettres Modernes alla Sorbona.

Ma anche i testi… di che parlano? Boh… Criticano la realtà, sbeffeggiano le paure nate da un 2000 incombente, mettono in scena le gesta di groupie sbronze a cavallo di una Lamborghini? Magari sì… oppure il dadaismo dei nostri porta alla luce talmente tante allusioni per il semplice motivo di nascondere il fatto che il disco non dice un bel nulla.

Poco importa, Neonism è un disco bislacco e nessuno al tempo ci capì nulla… nemmeno la consolle del missaggio che, in sede di registrazione, prese fuoco!

Ma Neonism, diciamolo pure, era anche un disco studiato, album di genio e ragionamenti puri, album che, a conti fatti, segna il perfetto equilibrio tra apollineo e dionisiaco nella grande storia della tragedia Solefaldiana. Il disco che, forse ancora oggi rimane il vertice della loro produzione. Ma anche un disco che avrebbe delineato alcuni degli assiomi base di quanto sarebbe arrivato in futuro.

The U.S.A. Don’t exist (e pure il resto del mondo)

Erano anni in cui accadevano cose. Non tanto nel mondo, quanto nella vita dei nostri. Cornelius prese sempre più a viaggiare, si perse nei suoi studi e cominciò la sua attività letteraria, fondò gli Sturmgeist, coi quali diede forma al lato più truculento del suo ingegno. Lars, da par suo, andò a prestare non già la sua voce ma le sue tastiere ai Borknagar. Per cominciare. E ancora sarebbe rimasto inviluppato in alcune migliaia di progetti nei 5 anni che seguirono. Oltre ai Borknagar, ad esempio, andò a confluire nello star-team degli Ásmegin e a sua volta capitanò un suo gruppo, gli Age of Silence, che trovaron tempo per buttare fuori due album.

Solefald in congelo?

Naturalmente no!

Purtuttavia i nostri non fecero tournée (dacché il titolo di questa seconda parte)… e non le fecero per molti anni. Al contrario l’attività in studio prosegui fervida e limpida, tra il 2001 e il 2005 seguirono altri due dischi. Il primo fu Pills against di Agless Ill e va detto che, dopo Neonism, fece la figura del disco semiordinario. Buono, ma meno folle. Compatto, ma figlio del suo predecessore e decisamente più parco in quanto a colpi di scena. L’apollineo aveva preso il sopravvento. Anche il growl di Cornelius diventa strano e rantoloso, e lo rimarrà per parecchio tempo.

Soprattutto, o forse suo malgrado, “Neonism” è un disco che ha un senso concettuale. O meglio è un concept album, come narrano i nostri avi, si tratta di

“Due fratelli, “Cain” il pornografo e “Fuck” il filosofo, raccontano attraverso testi mozzafiato il turbine devastante delle loro vite, traviate da visioni estremiste, folli e violente delle loro miserabili vite”.

Fatto sta che alla prova del tempo, il destino riserva sorti opposte alle reazioni immediate che “Neonism” (criticato per troppa innovazione) e “Pills” (osannato per il suo equilibrio tra presente e futuro) ricevettero. Il secondo in effetti, a guardare ciò che sarebbe venuto fuori, è un disco relativamente ordinario, pulito e coraggioso per l’epoca, ma a distanza di anni non colpisce nel segno, a parte The U.S.A. Dont Exist e altri episodi come Hyperhuman.

Ritorno alla sperimentazione e ci si rimette in carreggiata?

Naturalmente no!

Di fatto Pills è stato un importante passo di transizione. E ancora, lo si può capire solo a distanza di tempo. I nostri torneranno in carreggiata volgendo la spermimentazione – e qui è proprio il caso di chiamarla così – al passato con In Harmonia Universali. Già nei due pezzi che possiamo definire semplici, Buy my sperm e Black mount providence crow, riusciamo a sentire un decisivo prevalere di atmosfere piuttosto gotiche, ma è in pezzi come Nutrisco et Exstinguo o Christiania che intuiamo il vero compimento della trasformazione.

Un gran merito in questo caso va tributato a Nedland, nell’evoluzione delle tastiere, ora davvero peculiari, ora semplici arie di pianoforte, che danno una dimensione in più alla red music, rendendola misteriosa e sinistra.

L’album concettualmente è estremamente strutturato e complesso, similmente ad un albero sefirotico condensa in sé tutto lo scibile umano, dalla kabbalah all’astronomia, dalla mitologia greca a Marx. Si tratta di un lavoro maniacale, tetralingue (a inglese, norvegese e francese venne aggiunto il tedesco) studiato in ogni minimo dettaglio, un disco in cui lo sperimentalismo è totalmente calcolato e, per continuare la storia della tragedia solefaldiana, definitivamente apollineo.

La perdita dell’esplosiva spontaneità di Neonism è totalmente irrilevante, anzi, In Harmonia Universali riporta il sole ben lontano dal tramonto. Il sole torna a splendere alto ed unffasbarer.

Snart skal eg fara til heimen yver havet

“Ci eravamo un po’ stufati della sperimentazione. Anzi, al contrario. In un periodo in cui tutti si presentano come folli sperimentatori, avevamo pensato che la vera novità fosse fare qualcosa di classicamente viking”.

Purtroppo non posso riportare la citazione pari pari, ma ricordo frase abbastanza bene, apparsa su un Metal hammer nel 2005, in occasione dell’uscita di Red For Fire, primo capitolo dell’Icelandic Odyssey.

Dal fenomenale in Hrmonia Universali erano passati due anni, i cardini del black erano stati totalmente scardinati, dal 2000 gruppi come Enslaved, Borknagar, Vintersorg e altri avevano iniziato ad arricchire il sound con elementi avanguardistici e sperimentali. E i Solefald avevano deciso di sfornare un concept in due puntate (Red for Fire e Black for Death), l’Icelandic Oyssey di Bragi lo scaldo, ambientata sull’altra sponda del Mar del Nord.

C’è poco da dire in realtà, si tratta di un doppio fortemente improntato al viking classico a livello di sonorità, magari arricchito ancora dalle tastiere di Lars, da voci femminili e violini. Fatto sta però che, comunque la si guardi, non era una cosa che ci si potesse aspettare. Sun I call, Crater of the Valkyries e White frost Queen sono pezzi splendidi che fanno di Red for Fire un ottimo disco. Ma pur sempre un disco ordinario, completamente in inglese per giunta. E dall’altro lato, Black for death era opera di completamento, con un bel po’ di filler.

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Era il tempo in cui le vite dei due uomini dal multiforme ingegno stavano prendendo strade diverse. Lars stava avviando la sua attività giornalistica, Cornelius accumulava master, era impegnato a girare l’Europa e a pubblicare trattati filosofici (Quadra natura) o di poesia. Trovò anche il tempo di pubblicare una curiosa raccolta di rmx in chiave noise-electro di alcuni pezzi dei Solefald. Fu il Circular drain – dicono ancora i nostri avi

“quel Circular Drain tanto caro a Cornelius da essere presentato in anteprima al Circolo Scandinavo di Roma non ha avuto risposta di pubblico degna di nota ed è stato liquidato dalla maggior parte dei fan più devoti come l’album derivativo quale effettivamente è”.

Per un vero nuovo album dei Solefald occorrerà attendere 4 anni, fino al 2010 – secondo alcuni varianti che non considerano l’Odissea islandese degna di essere considerata una vera opera avantgarde, gli anni sarebbero sette. In realtà questa considerazione è piuttosto errata, poiché con Norrøn Livskunst i nostri torneranno alla sperimentazione, tuttavia rimarranno ancorati a tematiche norrene. Norrøn Livskunst è album totalmente in lingua nordica.

Ciò che conta più di ogni altra cosa è che l’album è molto particolare, ha un’atmosfera unica, che lo rende in questo senso piuttosto simile al Linear Scaffold come “episodio isolato”. Un disco decisamente facile da assimilare ma non per questo di semplice fattura. Un disco di, potremmo definirlo, progressive pop black, o semplicemente di Blackabilly, come recita la quarta canzone in scaletta.

Un disco con una forte anima unitaria, pieno di canzoni fantastiche (Eukalyptustreet, la title track, Videts vidd i Verdi, Blackabilly… tutto è a livelli altissimi), eppure estremamente variegato, con un gran numero di sensazioni ed atmosfere.

Solefald intervista Prima Pagina 2015

As the last god on earth I asked for a whiskey (A Zanzibar)

È questo il periodo in cui i nostri stupiscono l’Europa con un nuovo incredibile colpo di scena. I nostri tornano in tour, e si imbarcano in un’attività concertistica di due anni, durante la quale toccheranno tutto il continente e durante la quale pure Truemetal.it ebbe avuto la possibilità di vederli.

Ciò detto, se con  Norrøn Livskunst avevamo dovuto attendere 4 anni per un nuovo album, per il capitolo successivo avremmo dovuto attendere un anno di più. Certo, il progetto Kosmopolis, ancora diviso nei capitoli Nord e Sud, ha visto l’uscita del primo episodio a  fine 2014. La verità però è che Norrønaprogen – Kosmopolis Nord era uno strano strascico di  Norrøn Livskunst, un’ep fatto, molto probabilmente, di avanzi e remix del disco precedente.

Sarà a febbraio del 2015 che la Red (travestita da World) Music with black Edges tornerà a colpire. E sticazzi che colpo. World Music – Kosmopolis Sud riporta in auge i fasti dell’esplosività sonora e concettuale di Neonism, unita all’abilità compositiva e ruffiana largamente sviluppata negli anni successivi, potenziata e arricchita da elementi afrotribali (che Cornelius catturò durante un viaggio a Zanzibar). Il tutto, presentato con la tipica tamarreide solefaldiana, secondo cui

Kosmopolis, it is something new
Kosmopolis, I have my eyes on you

Quest’album è una bomba e conferma per l’ennesima volta il mostruoso genio di due artisti che non hanno eguali in Norvegia (e figuriamoci fuori dalla patria).

La saga dei Solefald, oramai quarantenni, è lungi dall’essere conclusa e nei prossimi anni, chissà quanti, ci saranno ancora memorabili capitoli. Strano a dirsi, ma il principale ostacolo alla popolarità di questa band risulta proprio la sua genialità. I Solefald non si copiano, è impossibile. E proprio questo impedisce al duo di Kristian sand l’accesso al ristretto cerchio di band che possono essere definite “Seminali”. Bend che invntano un genere o ne stravolgono uno già esistente. I Solefald sono i Solefaald e il resto non conta nulla.

Sicché non ci resta che concludere con l’invocazione con cui abbiamo aperto.

Unfassbare Sonne, scheine!

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Ah, quasi dimenticavo… questo è un circular drain